La manovra di Renzi convince quasi tutti in Italia e fuori. Perché
non è fatta di tasse, restituisce a chi ha perduto, colpisce rendite,
privilegi e sprechi. Ma soprattutto perché si tiene insieme con le
riforme. Ecco perché sbagliano i critici da sinistra
Matteo Renzi ha superato con apparente agilità – e con un
insperato successo di critica – l’ostacolo considerato alla vigilia più
ostico: affiancare al pacchetto delle riforme e a misure economiche come
i famosi 80 euro in busta paga un adeguato e credibile piano di
coperture finanziarie che per la prima volta da anni non fosse composto
di maggiori tasse.
Molti giudizi rimangono sospesi. Un po’ perché è già successo che
dopo la presentazione dei piani finanziari si scoprissero particolari
che rovinavano il primo effetto. Un po’ perché le parti sociali
rimangono coi fucili puntati sulle riforme che considerano chiave:
quelle affidate al ministro Poletti.
Ma il dato principale è che Renzi come al solito gioca d’anticipo
sulle critiche. Chi può negare che le famiglie in difficoltà avessero
bisogno di sostegno? Chi (a parte gli interessati) può opporsi al
ridimensionamento degli stipendi di manager e dirigenti pubblici? Chi
aiuterà le banche nella difesa delle proprie ricche quote dentro
Bankitalia? Dopo tanto parlare di sprechi, chi contesterà risparmi di
spesa pubblica che finalmente non toccano scuola e ricerca?
Tutti, o quasi, trovano accettabile il Def per due motivi.
Il primo: perché esso fa tutt’uno con riforme – in primis
quelle istituzionali – che danno l’idea di una cura shock complessiva.
Sicché, per esempio, anche imprese e contribuenti che non ricevono
diretti benefici fiscali possono confidare di riceverne altri grazie
alla semplificazione amministrativa e all’alleggerimento della macchina
statale e dei costi della politica.
Il secondo: perché tutto avviene senza tornare a gonfiare il debito
pubblico, che sarebbe troppo facile e troppo pericoloso. Padoan dà
garanzie, Ue e Fmi apprezzano che l’Italia non si muova dal 2,6 di
deficit/pil. È una prova di serietà da parte di un governo che su queste
basi, e non con sfide velleitarie, vuole aprire in Europa il fronte
politico della rinegoziazione.
Proprio contro questa impostazione rigorosa si alzano le voci critiche di Stefano Fassina e dell’Unità. Che
però pretendono davvero molto: dopo aver chiesto di fermare la riforma
del mercato del lavoro e di limitare la portata delle riforme
istituzionali, vorrebbero che l’Italia completasse la sua provocazione
al mondo sfondando ogni tetto di debito concordato e affidando alla
spesa pubblica la ripresa della domanda interna. Un po’ troppe cose,
perfino per Matteo Renzi.
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