Dieci anni fa fallì il tentativo di una “mediazione alta” tra le diverse posizioni
Ancora una volta è dovuta intervenire la Corte costituzionale.
Eppure era chiaro da molto tempo che il testo approvato in fretta e
furia alla camera dei deputati nel 2002 non stava in piedi. Era chiaro
già quando se ne dovette occupare il senato, tra il 2002 e il 2003: più
di dieci anni fa. Era chiaro già allora, ma il senato preferì abdicare
al suo ruolo, lasciandosi ridurre ad una gigantesca e costosa
fotocopiatrice. Nacque così, nel febbraio 2004, la legge 40 sulla
procreazione medicalmente assistita.
Con una sola, frettolosa lettura, alla camera; e un lungo dibattito
al senato, bloccato da un patto politico tra il governo Berlusconi e la
Cei del cardinale Ruini, all’insegna del “ne varietur”,
dell’inemendabilità assoluta del brutto testo licenziato dall’aula di
Montecitorio. C’è voluta una lunghissima, decennale “terza lettura”, da
parte della Corte costituzionale, per dare all’Italia una legge
plausibile, in questa delicata materia.
A nulla valse, in senato, il tentativo di produrre, come ebbi a dire
allora, da relatore di minoranza della legge, una “mediazione alta”,
nella quale potesse riconoscersi il più ampio spettro di posizioni e
visioni culturali e morali. Una mediazione che fosse capace di
distinguere, sulla base dell’affermazione del limite della politica, tra
le questioni e gli aspetti che è possibile, prima ancora che opportuno o
necessario, normare per via legislativa e quelli che è preferibile
affidare all’azione regolativa che deriva, per via dialogica, dalla
maturazione di una coscienza etica collettiva.
Quella proposta di mediazione, avanzata dall’allora gruppo dei Ds,
insieme agli altri senatori di sinistra e ad una parte significativa
della Margherita, si concretizzò nell’individuazione di “cinque punti
critici” del testo approvato a Montecitorio, sui quali aprire un
confronto emendativo.
Quattro di quei punti critici avevano a che fare con lo status
giuridico dell’embrione umano, che la legge 40 ha inteso affermare
forzosamente e ideologicamente come dotato della natura di “persona”,
come tale sacra e inviolabile. Una forzatura insostenibile, che ha
costretto la legge ad imporre norme palesemente assurde, nel corso degli
anni emendate da successive sentenze: dall’obbligo di fecondare non più
di tre embrioni e di impiantarli tutti e tre contemporaneamente; al
divieto assoluto di conservazione, distruzione o utilizzo degli embrioni
a fini scientifici; fino al divieto di selezione embrionaria a fine di
prevenzione della trasmissione di malattie genetiche.
Si tratta, beninteso, di pratiche assai controverse e, dal mio punto
di vista, discutibili, sul piano etico. Ma che si è dimostrato, come
avevamo previsto dieci anni fa, assai arduo interdire attraverso la
legge, senza incorrere in contraddizioni financo logiche del tutto
insostenibili.
La principale delle quali emergeva già allora, ed è via via emersa
nella prassi applicativa, da una lettura sistematica della legge 40 e
della legge 194: nell’ordinamento giuridico italiano, prima degli
interventi emendativi della Corte negli anni passati, l’embrione finiva
per essere considerato “persona” in provetta, ma non nell’utero materno;
sacro e inviolabile allo stadio di ovulo fecondato, visibile solo al
microscopio e privo dell’ambiente materno che gli è indispensabile per
venire al mondo; e invece in balia del principio di autodeterminazione
della donna una volta raggiunto lo stadio fetale. Una contraddizione
stridente, che rendeva queste parti della legge 40 né laiche né
cattoliche, né di destra né di sinistra, ma semplicemente senza senso,
illogiche e irragionevoli.
Il quinto punto critico che avevamo individuato nella relazione era
proprio il divieto assoluto di fecondazione cosiddetta “eterologa”,
ossia realizzata mediante il ricorso a materiale genetico (ovuli o
spermatozoi) estraneo alla coppia sposata o stabilmente convivente. La
principale motivazione addotta a sostegno del divieto, quella del
diritto del nascituro ad un quadro parentale che veda l’identificazione
tra la dimensione biologica e quella giuridica della genitorialità,
appariva e appare di incerta sostenibilità giuridica, posto che risulta
difficile affermare diritti precedenti l’esistenza stessa di un
individuo, nonché di controversa fondazione filosofica, in ogni caso
contraddittoria con il principio del limite della politica e del suo
principale strumento, il diritto.
Un limite che non può essere dilatato fino a penetrare il territorio
misterioso delle ragioni che motivano la procreazione e che rendono una
vita umana degna di essere vissuta. Portato alle sue estreme
conseguenze, l’argomento dei diritti del “concependo” finirebbe infatti
per configurare l’esistenza di un assurdo diritto a non nascere…
Ciò non significa che non esistano buone ragioni per esprimere dubbi e
perplessità sulla fecondazione eterologa. Ma è di gran lunga
preferibile che essi siano consegnati al dibattito pubblico, piuttosto
che alla norma di legge. Un divieto assoluto, come quello previsto dalla
legge 40 prima dell’intervento della Corte, acquisterebbe senso solo in
presenza di dati di fatto che evidenzino forme di sofferenza o quanto
meno di disagio nell’ambito dell’ormai popolosa comunità dei nati da
fecondazione eterologa.
E invece, dopo decenni di ricorso su vasta scala alle pratiche di
fecondazione assistita eterologa, nessuna ricerca empirica ha potuto
mettere in evidenza danni o anche solo problemi apprezzabili, vuoi di
natura fisiologica, vuoi di natura psicologica, a carico dei nati
mediante il ricorso a tali tecniche. Leggeremo nei prossimi giorni le
motivazioni della sentenza, che potranno illuminarci anche sulle scelte
da fare ora: compresa quella se ricorrere o meno ad una nuova normativa,
a perfezionamento della legge 40 emendata dalle sentenze.
Qualunque sarà la decisione in merito che risulterà necessario
prendere, l’esperienza di dieci anni fa dovrà farci da guida: mai più
leggi ideologiche in questa materia, mai più leggi contro il limite
della politica e del diritto, mai più leggi contro la ricerca onesta e
sincera di una mediazione alta tra visioni diverse.
Nessun commento:
Posta un commento