Un successo il viaggio di Renzi a Londra, fino alla cena con Tony
Blair. Anche perché il pendolo della politica progressista torna verso
il cuore della Terza via: l'identificazione tra sinistra e "centro del
paese".
La trasferta londinese di Matteo Renzi è stata un successo.
Conoscendo i politici inglesi e la loro abituale supponenza verso i
colleghi italiani, è già significativo il fatto che David Cameron, Ed
Miliband, Boris Johnson e infine Tony Blair abbiano trovato nelle agende
di una sola giornata lo spazio per un incontro col premier italiano. Ma
c’è molto di più se è vero, come risulta, che tutti hanno mostrato
interesse a dare peso, visibilità e importanza ai meeting.
C’è un mix di ragioni per questo. Vanno dal bisogno di Cameron di
trovare una sponda continentale nella sua battaglia per un’Europa (dal
punto di vista inglese) meno pesante, al sodalizio antico tra il sindaco
di Londra e il suo collega fiorentino. Per il leader del Labour, non in
buonissime acque in vista delle elezioni dell’anno prossimo, vale
sicuramente la curiosità per un collega più giovane di lui (che è già
abbastanza giovane) che s’è imposto in tempi così rapidi. Il lavoro di
abilissimi intermediari ha fatto il resto.
Non sappiamo quanto sia vero che l’Italia, come ha detto il premier,
stia ricominciando ad andare di moda nel mondo: i flussi finanziari
verso Piazzaffari per ora premiano politiche giudicate promettenti ma
anche i prezzi convenienti delle nostre aziende. Quindi, staremo a vedere.
Quello che invece è certo è che Renzi comincia a essere (come disse lui del Pd suscitando sarcasmi) un oggetto cool fuori
dai confini patri, per un sistema mediatico sempre a caccia di figure
nuove e per l’emergere di una generazione di leader progressisti
decisamente più carismatici della media della socialdemocrazia europea.
Per questo Tony Blair, tornato a Londra appositamente per la cena
all’ambasciata italiana, nelle pause dei suoi riferimenti alle
situazioni internazionali che segue manifestava soddisfazione per
l’incontro con il suo dichiarato emulo italiano e per le notizie da
Parigi sulla promozione governativa di Manuel Valls.
A distanza di anni, il pendolo della sinistra europea torna verso
personalità che reinterpretano il cuore della dottrina blairiana. Che
non è rappresentato dal turboliberismo, dalla deregulation finanziaria, dalla special relationship
con l’America anche bushiana e dall’avventura irachena: tutti fattori
che certo hanno segnato (e condannato, agli occhi molti) il legato
blairiano, ma che ne fanno anche una caricatura.
Una popolarità così resistente e tre mandati consecutivi si spiegano
altrimenti. In estrema sintesi, con la capacità di interpretare perfino
fisicamente i bisogni prima, e la voglia di riscatto poi, di quella che
allora si chiamava Middle England. Concetto che ne racchiude diversi,
nessuno dei quali ha a che vedere col banale centrismo politico: un po’
la famosa “pancia” del paese, un po’ la geografia delle medie città del
centro-nord potentemente riqualificate nell’era postindustriale, un po’
quel ceto medio che il New Labour promosse con una delle più grandi
operazioni di ascensore sociale collettivo mai realizzatesi.
La storia della Terza via è anche un album di errori da non ripetere,
e del resto irripetibili visto che si consumarono nella stagione
ottimista della “globalizzazione buona”. Ma per Matteo Renzi rimane
fondamentale quell’intuizione di base: l’assillo di rimanere sempre in
sintonia con gli umori del proprio popolo senza pretendere di
soverchiarli con ricette precostituite e ideologiche. Lo chiamano
«populismo democratico»: una versione della leadership progressista
della quale gli anglosassoni non si sono mai vergognati. Impariamo ad
abituarci, perché ora ne abbiamo in casa un esemplare addirittura da
esportazione.
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