Un Pdl allo sbando coinvolge nelle proprie difficoltà il Pd.
Nessuno può permettersi una crisi di governo, ma almeno i democratici
avrebbero scenari alternativi.
È successo un’altra volta. Di nuovo la confusione, la mancanza
di guida e l’assenza di strategia da parte del Pdl si sono riversate
sulle istituzioni, sul governo, sul parlamento e alla fine anche sul Pd.
I democratici sono stati coinvolti in una giornata imbarazzante, nella
quale hanno pagato un prezzo di immagine sproporzionato all’entità delle
decisioni assunte.
La chiusura anticipata di qualche ora delle sedute parlamentari è il
risultato che è rimasto in mano al Pdl, i cui falchi pretendevano
l’aberrante auto-sospensione delle camere per tre giorni.
Prendiamo prima in considerazione questo fatto, che riguarda il centrodestra ed è oggettivamente il più significativo.
Per quel che se ne sa, entro settembre la Cassazione potrebbe
decidere definitivamente per l’espulsione di Berlusconi dalle
istituzioni. Per il suo partito, è fine di mondo. E la contromossa
politica praticabile qual è? Non c’è. Ne abbiamo avuto tante prove nelle
ultime settimane, e ancora ieri. Il Pdl è l’ultimo ad avere la minima
convenienza in qualsiasi scenario di crisi di governo: formazione di
un’altra maggioranza o fine della legislatura con elezioni anticipate.
L’unico spazio politico di manovra del Pdl è nel perimetro della
maggioranza. Che dal suo punto di vista può essere messa sotto stress ma
mai uccisa. Il massimo della reazione ammessa sono gli sgomitamenti ai
quali abbiamo già assistito. In rapporto all’entità del pericolo che
corre Berlusconi, è l’impotenza del Pdl che fa spavento.
Il Pd all’opposto sa che qualsiasi opzione post-Letta (ancorché
drammatica per l’Italia) gli può apparire praticabile, perfino
vantaggiosa ora che il leader adatto allo scontro elettorale frontale
c’è. Ma la prospettiva della crisi è preclusa anche al Pd: dall’urgenza
della riforma, almeno elettorale; dall’obbligo assunto con Napolitano;
dalla lealtà verso il suo dirigente in questo momento più esposto, cioè
il presidente del consiglio.
Nasce da qui, non certo da compiacenza verso Berlusconi, il
cortocircuito politico-comunicativo, tanto più dannoso per il Pd in
quanto ha invece avvantaggiato il suo vero concorrente, cioè M5S (di qui
il nervosismo renziano).
Sono situazioni che si ripresenteranno se Alfano non riuscirà a
mettere in gabbia i suoi falchi, come non riuscirà. La prossima volta,
se possibile, il Pd dovrebbe muoversi con l’energia e la durezza di chi
sa che con le spalle al muro ci stanno gli altri.
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