lunedì 22 luglio 2013

Scene Pd dopo la botta kazaka

Stefano Menichini 
Europa  

Letta ha nella capacità di mediazione dentro le larghe intese la sua prova di maturità e un po’ anche la sua condanna. Renzi ha misurato i limiti angusti della sua influenza politica romana, e forse ha capito che non si può rimanere outsiders per sempre
La frustrazione per come finisce (per ora) la vicenda Alfano è innegabile. Ma il Pd non deve vivere la giornata di ieri come una sconfitta. Enrico Letta è il suo dirigente in questo momento più esposto, e ieri al senato ha guadagnato qualche credito che potrà riscuotere, se e quando vorrà tirare fuori quella grinta che ha dichiarato di possedere sotto la scorza della buona educazione.
Un credito importante è verso l’opinione pubblica più vasta, che a giudicare dai sondaggi ha idee abbastanza chiare sul caso Shalabayeva, le sue implicazioni e le responsabilità connesse.
A molti elettori di sinistra Letta apparirà come il cinico doroteo che ha coperto un’evidente bugia pur di salvare un tassello fondamentale del proprio governo, un avversario politico per di più. Ma sono molti di più gli italiani che avrebbero trovato incomprensibile una crisi di governo “kazaka”.
Non lo scrivo con soddisfazione, perché per me quanto è accaduto alla famiglia di Ablayev compromette l’onore dell’Italia anche fino al livello di una crisi di governo: la realtà però è che l’esigenza di non ribaltare il quadro politico a due mesi dalla sua miracolosa e precaria composizione prevale nell’opinione diffusa.
C’è poi un grande credito che Letta dovrà riscuotere – garante Napolitano, con la stessa asprezza con la quale s’è espresso giovedì – quando torneremo alle sentenze su Berlusconi, al quale ieri Fede, Mora e Minetti hanno fatto da battistrada.
Fin qui il disarmo non è mai stato bilaterale: vedremo presto se e quanta ipocrisia c’era negli applausi rivolti ieri al premier dai senatori del Pdl, e se finalmente toccherà a qualcun altro mandare giù bocconi indigesti.
Infine c’è il tema Pd. La novità di giornata è il silenzio stampa annunciato da Matteo Renzi al termine di una torrenziale (ed efficace) serata televisiva. Sui giornali non scriveremo mai tanto di Renzi quanto nei prossimi due mesi, e lui lo sa.
Nei confronti del Pd Letta ha ora un debito, non un credito. Anche qui ha contato soprattutto la voce grossa fatta da Napolitano, ma l’allineamento comunque c’è stato ed è stato quasi unanime. La vicenda kazaka marca ancora più nettamente la divisione dei ruoli che Letta e Renzi devono rispettare. Il primo ha nella capacità di mediazione dentro le larghe intese la sua prova di maturità e un po’ anche la sua condanna: farà fatica, quando sarà il momento, a travestirsi da uomo di battaglia contro Berlusconi.
Il secondo, al contrario, si conferma una micidiale macchina comunicativa. In attesa di potersi
scatenare in uno scontro elettorale, per ora si chiama fuori. Trarrà ogni vantaggio possibile dal rimanere a Firenze in un periodo sicuramente turbolento e difficilmente produttivo. Anche in questa
vicenda però ha misurato i limiti angusti della sua influenza politica romana, e forse ha capito che non si può rimanere outsiders per sempre.

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