La Stampa 26/07/2013
Il Pontefice travolto dall’entusiamo dei più poveri di Rio Poi visita una famiglia: siete un esempio di solidarietà
andrea Tornielli
Rio de Janiero
Rio de Janiero
Arriva nella favela Varginha, la «Striscia di Gaza» di Rio de
Janeiro, con la sua utilitaria targata SCV1: l'auto più piccola è
diventata l'ammiraglia del corteo papale. S'avventura a piedi tra le
baracche, noncurante della pioggia, avvolto e quasi travolto
dall'incontenibile affetto della gente. Nessun protocollo, nessuna
etichetta, pochi preti al seguito, tante persone comuni.
Abbraccia chiunque, ascolta tutti, si lascia tirare da una parte e
dall'altra. Riceve doni, magliette colorate, fotografie. Asciuga le
lacrime della mamma che tiene tra le braccia una bambina gravemente
handicappata avvolta in una coperta rosa. Entra nella piccola chiesa
parrocchiale con i mattoni a vista perché non c'erano soldi per
l'intonaco, incastrata tra le baracche dal tetto di lamiera. Il suo
volto s'illumina ad ogni abbraccio, ad ogni bacio, ad ogni stretta di
mano. Il Papa venuto «dalla fine del mondo» che invita la Chiesa a
uscire e a raggiungere le periferie, si trova a suo agio soprattutto tra
la gente semplice. Anche da Pontefice è rimasto un pastore «con l'odore
delle pecore» e invita con il suo travolgente esempio tutti i vescovi e
i parroci a fare altrettanto.
S'infila con passo rapido nella porticina di legno della casa con il
muro giallo, una stanza di quattro metri per quattro dove lo attendono
venti persone. È la famiglia povera che Francesco visita, lontano da
telecamere e fotografi. Abbraccia loro come avrebbe desiderato fare con
ogni famiglia brasiliana. «Avrei voluto bussare a ogni porta, dire
"buongiorno", prendere un "cafezinho"... ma non un bicchiere di
"cacahca"», aggiunge scherzoso, riferendosi alla grappa apprezzatissima
in America Latina. «Avrei voluto parlare come ad amici di casa,
ascoltare il cuore di ciascuno, dei genitori, dei figli, dei nonni... Ma
il Brasile è così grande! E non è possibile bussare a tutte le porte!
Allora ho scelto di venire qui...».
Sulla parete di una casa vicina giganteggia un murale con il volto di
Oscar Romero, il vescovo martire del Salvador che ora Francesco vuole
beatificare. «Nessuno può rimanere insensibile alle disuguaglianze che
ancora ci sono nel mondo!», dice alla folla che lo acclama nel campo da
calcio della favela. La solidarietà «oggi è una parola dimenticata,
sembra quasi una parolaccia». Ma il Papa che non si stanca di ripetere
le parole di Gesù nel capitolo 25 di Matteo «sulle quali saremo
giudicati» - avevo fame, sete e mi avete dato da mangiare e da bere, ero
nudo e mi avete vestito - viene a ringraziare le «persone più semplici»
per la «preziosa lezione di solidarietà». «So bene che quando qualcuno
che ha bisogno di mangiare bussa alla vostra porta, voi trovate sempre
un modo per condividere il cibo: come dice il proverbio, si può sempre
"aggiungere più acqua ai fagioli"! E voi lo fate con amore, mostrando
che la vera ricchezza non sta nelle cose, ma nel cuore!».
A chi ha di più, alle autorità pubbliche come pure «a tutti gli
uomini di buona volontà» dice: «Non stancatevi di lavorare per un mondo
più giusto e solidale!». «Nessuno sforzo di pacificazione sarà duraturo»
se la società «ignora, mette ai margini e abbandona nella periferia una
parte di se stessa». Poi cita il documento finale di Aparecida,
pubblicato sei anni fa dai vescovi latinoamericani, che definisce la
Chiesa «avvocata della giustizia» in difesa dei poveri «contro le
disuguaglianze sociali ed economiche intollerabili che gridano al
cielo». Infine ricorda che non c'è solo la fame di pane e di giustizia.
C'è una fame «più profonda, la fame di felicità che solo Dio può
saziare».
Tra la folla della favela che accoglie Francesco, insieme a un gruppo di giovani, c'è padre Renato Chiera, 72 anni, originario di Villanova Mondovi, fondatore della «Casa do Menor», una Ong che gestisce case di prima accoglienza per ragazzi di strada. «Si vede che il Papa vuole bene a questa gente - dice - Lui ama questi poveri, li abbraccia, non ha paura di sporcarsi». Per il questo prete di frontiera l'invito di Francesco ad andare nelle periferie è già vita quotidiana da 35 anni. «Questi ragazzi gridano il loro bisogno di amore. Servono l'aiuto materiale e l'educazione, ma hanno soprattutto bisogno di qualcuno che voglia loro bene».
Nessun commento:
Posta un commento