sabato 27 luglio 2013

Ora per il Pd tutto si complica

Stefano Menichini 
Europa  

Respinta per ora la sortita per "chiudere" le primarie sul segretario, il rinvio lascia spazio alle solite polemiche su Renzi. Intanto anche Letta incassa qualche battuta a vuoto
Il Pd riesce sempre a sorprendere. Ieri l’ha rifatto, grazie a due che pure non sono noti come giocherelloni: il segretario Epifani e l’ex segretario Franceschini.
Dalla direzione si attendevano due certezze, che sono arrivate.
La prima: il ribadimento, rafforzato, dell’appoggio del Pd al governo Letta, nonostante e oltre gli incidenti assai spiacevoli per i democratici delle ultime settimane.
La seconda: la data delle primarie, lungamente lasciata incerta mentre diversi dirigenti spingevano per un rinvio più o meno lungo. Invece tutto si consumerà prima di dicembre, probabilmente il 24 novembre. Ottima scelta di Epifani.
La sorpresa invece è venuta fin dalla relazione del segretario (che sul punto ha espresso una preferenza personale lasciando però aperte più opzioni) e poi dall’intervento di Franceschini (appoggiato da Bersani nelle dichiarazioni a latere): questa parte del gruppo dirigente uscente punta a “chiudere” le primarie per il segretario ai soli iscritti, rovesciando l’impostazione del confronto per la segreteria che nel 2009 impegnò gli stessi Franceschini e Bersani con Marino.
Gli argomenti di fondo sono noti, rimandano allo sdoppiamento di ruolo segretario/premier. Ma anche l’obiettivo immediato è evidente, fin troppo: sbarrare la strada alle aspirazioni di Renzi.
Il risultato della sortita non è stato brillante. Adducendo motivi di tempo, la relazione del segretario non è stata votata, ma era stata già sepolta di dubbi senza che Renzi neanche prendesse la parola. Anzi, sono stati i suoi eventuali possibili competitori i più accesi critici di questa che sarebbe una modifica statutaria.
Ora lo scontro sulla questione rischia di drammatizzarsi, complicato dall’altro tema congressuale: la separazione tra l’elezione del segretario e dei dirigenti locali.
Non è un modo saggio di procedere. L’inevitabile rinvio della decisione si riempie di possibili ulteriori conflitti, anche perché è accompagnato da un altro rinvio, che invece colpisce Letta: contrariamente a quanto sperava, il governo non è sicuro di avere prima della pausa di agosto il voto sulla riforma del finanziamento pubblico dei partiti (frenato dai partiti stessi) e di certo non avrà il primo voto sulla legge di riforma costituzionale (portata con successo dall’ostruzionismo del M5S a impantanarsi in un groviglio parlamentare).
Una giornata faticosa per il Pd. Che qualche complicazione poteva risparmiarsela.

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