domenica 14 luglio 2013

Ricordo di Gervasio a 26 anni dalla scomparsa. Una stagione passata?



Leonardo Benevolo con questo articolo, ricordava Gervasio Pagani a dieci anni dalla scomparsa.



Dieci anni dopo la sciagura che in pochi attimi ha fatto scomparire, Gervasio e la sua famiglia, il loro ricordo è più vivo che mai. Li sentiamo vicini come se li avessimo lasciati ieri; tuttavia i dieci anni passati sembrano un tempo lunghissimo, e l'estate 1987 – quando è avvenuto il fatale incidente automobilistico – ci appare un'epoca lontane, che dobbiamo sforzarci a ricostruire perchè tutto è cambiato.

Non è facile riflettere su questi dati contrastanti. Il primo pensiero, e certamente il più giusto, è che le persone contano più degli avvenimenti. Quel che è eterno in loro vive in modo perfetto, alla presenza del Signore, e in modo imperfetto nella memoria degli amici, che si sono riconosciuti fra loro lavorando insieme. Le circostanze sono tutte tramontate, i discorsi e gli atti di allora non sono più ripetibili, ma qualcosa che c'era in più, nelle parole e negli atti del nostro amico -la baldanza, la generosità, la serena accettazione del rischio?- rimane un valore permanente, che sollecita tutti noi esattamente come allora.

Io ero arrivato a Brescia negli anni Settanta, e avevo incontrato Gervasio Pagani in un gruppo già formato. Ero venuto qui per una scelta ragionata, dopo aver conosciuto (attraverso il lavoro tecnico con Luigi Bazoli) una società solidale, vicina al mio modo di pensare. Ogni rapporto personale avveniva sullo sfondo rassicurante di un'identità collettiva: la pattuglia bresciana dei cattolici democratici, che figurava (benissimo) nella schiera più vasta della Lega Democratica. Venendo da fuori non ero attrezzato a far distinzioni dentro il gruppo, e ho certamente sopravvalutato più tardi la sua solidità, quando lo scenario politico è cambiato. Può darsi che il ricordo di Gervasio, per me e per molti altri, sia anche un mezzo per rivivere un affiatamento collettivo che col tempo è venuto meno, e se è così bisogna andare oltre questo sentimento, che oltretutto diminuisce la figura reale del nostro amico scomparso.

Mi sono chiesto spesso come lui avrebbe reagito agli avvenimenti che si affollano nell'ultimo decennio: la mancata difesa del gruppo dirigente bresciano a cavallo delle elezioni amministrative del 1990, il tramonto dei partiti tradizionali, il nuovo quadro politico ed economico, l'incertezza del futuro. La risposta a queste domande è nascosta nel mistero della chiamata, che il Signore ha voluto fargli alla vigilia di tutti questi cambiamenti. Vuol dire che noi, accettando la scelta impenetrabile della Provvidenza, dobbiamo ricordarlo com'era: intransigente nel sostenere le sue opinioni in ogni circostanza favorevole e sfavorevole, capace di accordarsi o di scontrarsi, a ragion veduta, con tutti i componenti della scacchiera politica di allora, e secondo le regole di allora che sembravano permanenti. Ha vissuto pienamente, e al meglio, il tempo che gli è stato dato.

A noi spettano altri compiti, il un quadro ben diverso: i soggetti politici non sono più accertati, ma piuttosto da inventare; le parole d'ordine -destra, sinistra, progresso, conservazione- sono diventate problematiche; l'orizzonte delle previsioni si è accorciato, e viene a mancare la stabilità politico-amministrativa, necessaria a condurre ogni lavoro a lunga scadenza. Fra le virtù occorrenti al tempo di Gervasio, alcune servono ancora e altre no. La generosità è utile, ma l'ottimismo conduce in molti casi fuori strada. Molti di noi hanno dato credito a un'avventura effimera come quella della Rete (penso soprattutto al lungo, gravoso e ingrato lavoro di Riccardo Imberti; e io non posso certo dar giudizi, dopo aver firmato il manifesto iniziale del movimento, iniseme a personaggi attualmente dispersi nei luoghi più strani dello scenario politico). Adessso c'è l'Ulivo: sarà una strada giusta, oppure un altro tentativo illusorio, attraente solo perchè ricalca in qualche modo la “solidarietà nazionale” di vent'anni fa? È diventato pericoloso andare “dove ti porta il cuore”. Serve più che mai la lucidità, e persino la diffidenza. Nella massa di parole e immagini che abbiamo introno -centuplicata da dieci anni a questa parte- bisogna saper discriminare severamente. I risultati del lavoro sul campo (penso soprattutto alla pianificazione del territorio e all'assistenza per i deboli) non servono a convalidare i programmi politici esistenti, ma piuttosto a prepararne altri possibili nel futuro.

È il momento giusto per studiare storicamente e giudicare con obiettività la lunga storia della sinistra democristiana; ma le forme con cui questa tradizione vien riproposta, nei tre spezzoni superstiti della DC, sono ugualmente non credibili. Della sinistra ex comunista, che in qualche modo tenta di rimanere unita, è persino prematuro fare una storia, finchè resta in sospeso una scelta duratura. Una destra moderna è ancora da inventare. E nessun'altra formazione politica riesce fin'ora a svolgere un ruolo che non sia subalterno e strumentale. Si pare l'alternativa di lavorare nonostante tutto nei partiti che ci sono, cercando di mantenere un distacco critico, oppure di tenersi fuori cercando di non chiudersi in una posizione individuale.

Dobbiamo accettare, fra le difficoltà del nostro tempo, anche l'accelerazione che rende sempre più lontane le circostanze del lavoro di Gervasio Pagani. Ci resta l'essenziale: il suono indimenticabile di una voce, e tre sorrisi femminili, che noi conserviamo nella mente ma non potremo trasmettere ai più giovani.

1 commento:

  1. Non ho mai incontrato Gervasio Pagani, non riconoscerei il suono della sua voce, a me ignoto. Sono arrivato a Coccaglio 11 anni dopo la sua morte ed ho cominciato a fare politica, a Coccaglio, solo 4 anni fa.
    Conosco Gervasio dalla luce riflessa che proiettano le persone che lo hanno frequentato. E già questa è abbacinante.

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