giovedì 25 luglio 2013

La sfida di Obama “America, basta diseguaglianze”

Il presidente: manager sempre
più ricchi e la classe media guadagna sempre meno
maurizio molinari
la Stampa 25 luglio 2013

Barack Obama promette all’America che userà «ogni minuto che manca alla fine della presidenza» per «sconfiggere le diseguaglianze che indeboliscono la classe media». Parlando da Galesburg in Illinois, dove nel 2005 pronunciò il primo discorso da senatore, Obama dice che i 7,2 milioni di posti di lavoro creati negli ultimi 40 mesi «non bastano» perché anche se l’America si è lasciata alle spalle la «Grande Recessione iniziata nel settembre 2008» il problema è che «la quasi totalità dell’aumento di entrate degli ultimi dieci anni è andata all’1% della popolazione» ovvero ai più ricchi. «In media i ceo dal 2009 hanno avuto una crescita dei profitti del 40 per cento mentre la media degli americani guadagna meno rispetto al 1999» lamenta il presidente, affermando che il risultato è «la crescita di diseguaglianze che non sono solo moralmente sbagliate ma danneggiano anche l’economia».  

Nelle parole del presidente c’è l’ammissione che il rilancio del Pil, la creazione dei posti di lavoro e i record degli indici di Wall Street sono risultati amari perché «la differenza di opportunità è aumentata» anche da quando lui è arrivato alla Casa Bianca e ciò «mina l’essenza stessa di questa Nazione». L’accento di autocritica è rivolto all’elettorato della classe media che nel 2012 lo ha riconfermato in massa alla Casa Bianca ma mostra un crescente scontento per le difficoltà che rimangono. La cartina tornasole di tale sentimento degli elettori è nel recente sondaggio Marist-McClatchy che assegna a Obama appena il 41 per cento di popolarità - il secondo peggiore di sempre - che scende al 37 nell’apprezzamento della gestione dell’economia. 

Per recuperare la fiducia degli americani Obama rilancia la missione di rafforzare la classe media illustrata nel discorso pronunciato a Washington in occasione del secondo insediamento: «La priorità più alta deve essere la sconfitta delle diseguaglianze». La promessa è di dedicare a tale obiettivo «ogni minuto dei rimanenti 1267 giorni della mia presidenza». Da qui gli impegni ad aumentare il salario minimo, risollevare i quartieri più poveri e degradati delle città, difendere la riforma della Sanità dall’assalto dei repubblicani, consentire ad ogni famiglia di mandare i figli a scuole con qualità alta di insegnamento, approvare la riforma dell’immigrazione, investire nelle infrastrutture, innovare con le tecnologie le manifatture, riqualificare gli operai usciti dal mercato del lavoro e consentire ad ogni proprietario di casa di rifinanziare il mutuo a migliori condizioni.  

«Dobbiamo ridurre la povertà e le diseguaglianze per far crescere la prosperità e le opportunità» promette Obama all’inizio di un tour di discorsi che lo porta anche all’Università del Missouri e a Jacksonville, in Florida. Se il percorso è in salita è perché «lo stallo a Washington produce effetti sempre peggiori» e la responsabilità è di «quei repubblicani che in privato si dicono d’accordo con le mie idee ma poi votano in maniera diversa in aula nel timore delle conseguenze politiche». 

L’affondo contro l’opposizione conservatrice segna di fatto l’inizio della campagna elettorale per il rinnovo del Congresso nel novembre del 2014 ma Obama guarda anche oltre, gli preme disegnare l’ultima battaglia della sua presidenza: «Chi difende le diseguaglianze tradisce l’idea stessa dell’America». 

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