mercoledì 10 luglio 2013

Papa Francesco e il paradosso del papato

Massimo Faggioli
 

Si stanno già affilando le armi per delegittimare questo pontificato o per declassare il magistero a quello di un "papa pastore" dal profilo teologico trascurabile
Papa Francesco ha dato forma al suo atto magisteriale più forte, dopo quasi quattro mesi di pontificato, con la messa a Lampedusa. Interprete di un’idea teologicamente forte, secondo cui la celebrazione dell’eucarestia è l’atto più pubblico e più solenne di tutte le altre possibili azioni e documenti della Chiesa, Francesco ha messo sulla scena della periferia dell’Europa il centro stesso della vita della Chiesa, con un rovesciamento di prospettiva tipico di un papa venuto dall’Argentina.
Ma la messa celebrata a Lampedusa è anche la rappresentazione del momento particolare nella storia del papato contemporaneo, in questa fase di transizione tra Benedetto XVI e Francesco: una transizione ancora in corso, imperfetta e incompiuta. Fa parte del mansionario del papa una certa “solitudine istituzionale”, di cui fece le spese anche Giovanni XXIII. Come papa Giovanni, anche papa Francesco ricopre il ruolo di un papato di ricostruzione: ricostruzione del tessuto ecclesiale di fronte alle incomprensioni (talvolta nutrite ad arte) dei mass media; di un linguaggio teologico che non sia accademico ma pastorale. Di un’immagine del papa come pastore più che come principe.
In questo senso il paradosso di Francesco è analogo a quello di Roncalli, o al “mistero Roncalli”: un papato destinato a ripristinare nella Chiesa i salutari e tradizionali strumenti della comunione ecclesiale (la collegialità tra i vescovi e il papa, la sinodalità ad ogni livello della Chiesa) deve contare sulle forze di una persona sola, sulle intuizioni del vescovo di Roma, sulla sua capacità di governare etsi Curia non daretur – come se non ci fosse la Curia romana, ancora interamente formata da uomini nominati dal predecessore e molti dei quali evidentemente appartenenti ad un’altra era teologica.
Ogni pontificato, nella sua fase di rodaggio e di transizione, è soggetto a meccanismi di adattamento rispetto all’ambiente circostante. Questi meccanismi dipendono da contingenze interne alla Chiesa come da variabili esterne, e ogni nuovo papa sa che la gestione della transizione non può contare sul nudo appello al potere primaziale: in altri termini, il nuovo papa deve negoziare l’uscita di scena del vecchio entourage e delle vecchie parole d’ordine per fare spazio gradualmente al proprio programma e agli uomini con cui metterlo in pratica.
Con le straordinarie circostanze della transizione tra Benedetto XVI e Francesco, vi sono elementi che parlano di questa negoziazione in termini di compromesso (la firma apposta all’enciclica scritta da Benedetto XVI, la conferma di alcuni uomini-chiave del pontificato Ratzinger come il liturgista Guido Marini) insieme alla ferma dichiarazione di intenti di Bergoglio sulle nuove traiettorie del pontificato (lo stile e i contenuti della predicazione mattutina, l’iniziativa di Lampedusa).
L’elemento particolare è dato dal fatto che la solitudine istituzionale di Francesco è data dall’assenza, a Roma oggi, di quella constituency che lo ha eletto papa in un conclave celebrato in situazione di emergenza. C’è da chiedersi quanti di quei cardinali che lo elessero il 13 marzo oggi lo rieleggerebbero, se sapessero degli straordinari atti di papa Francesco di questi primi mesi. Ma c’è anche da essere sicuri che una parte del cattolicesimo mondiale, quella più orfana di un ratzingerismo declinato in termini di ideologia neoconservatrice, sta già affilando le armi per delegittimare questo pontificato o per declassarne il magistero a quello di un “papa pastore” dal profilo teologico trascurabile.
Le reazioni di Giuliano Ferrara (sul Foglio di ieri) e di Fabrizio Cicchitto («va affermata una seria e reale autonomia dello Stato dalla Chiesa») sono solo le più pubbliche, ma non le più sottili né le più insidiose: ma rappresentano bene le reazioni del mondo politico di fronte ad un cattolico sociale come Bergoglio, per comprendere il quale idee come laicità, autonomia tra Stato e Chiesa, libertà e diritti richiedono una complessa operazione di traduzione rispetto al periodo di Ratzinger – Benedetto XVI. Con papa Francesco deve radicalmente ripensarsi la vulgata bipartisan sul cattolicesimo come colonna di un mondo liberale-liberista: il costo sarà ben più alto del mandare al macero libri già in bozze – libri che dopo il 13 marzo 2013 non hanno più molto da dire.

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