domenica 14 luglio 2013

La caccia all’uomo di Nezarbayev

Matteo Tacconi 
Europa  

Non solo Italia, il regime kazako non perdona i suoi dissidenti

Non possono acciuffare Mukthar Ablyazov. Intanto perché è latitante. In seconda battuta, c’è lo scudo legale del Regno Unito, che gli ha concesso l’asilo politico due anni fa. In compenso le autorità kazakhe stanno dando la caccia a tutte le persone a lui vicine. Che siano familiari, soci o guardie del corpo.
In Italia, abbiamo visto, è andata come è andata. La moglie e la figlia, Alma Shalabaeva e Aula, che da otto mesi vivevano a Roma, sono state trasferite in Kazakhstan il 29 maggio con un’operazione di rimpatrio dichiarata irregolare dalla magistratura e che, a causa della pasticciata dinamica, rischia di influire sulla tenuta del governo. Il M5S e Sel chiedono le dimissioni del ministro dell’Interno Angelino Alfano. Piovono accuse anche sul ministro Cancellieri e sulla responsabile degli Esteri, Emma Bonino. Senza contare che la retromarcia innestata da Enrico Letta («Alma Shalabaeva può tornare in Italia»), non ha convinto i più. Pesantissima la critica odierna di Repubblica.
Ma di queste cose se ne è già parlato e se ne parlerà abbondantemente nelle prossime ore. Torniamo alla caccia all’uomo aperta da Nursultan Nezarbayev, il presidente kazakho, al potere dall’indipendenza (1991) e già membro di spicco della nomenklatura sovietica. Tra il cerchio magico del presidentissimo e quello del banchiere dissidente Mukthar Ablyazov è in corso una feroce resa dei conti, in quella che è un’altra puntata delle faide di potere post-sovietiche, dove tentazioni cleptomani e giustizia selettiva, alta finanza e purghe sono frullati in un unico contenitore. E non si capisce fino a che punto i buoni siano tali, né se i cattivi abbiano sempre e per forza torto marcio.
In ogni caso – veniamo al punto – l’Italia non è il solo paese dove Nezarbayev dà la caccia ai membri del clan di Ablyazov, datosi alla latitanza dopo che all’inizio dell’anno scorso la giustizia britannica lo ha condannato a 22 mesi per frode fiscale, nel contesto di un processo istruito su richiesta della Bta, la banca che lo stesso Ablyazov ha diretto fino al 2009, anno in cui il governo kazakho ne ha rilevato il controllo (Londra ha concesso l’asilo ma senza rinunciare a processare l’uomo). In Spagna, sulla scorta di un Red Notice dell’Interpol, è stato fermato a dicembre Alekandar Pavlov. È la storica guardia del corpo di Ablyazov. Lo ha servito sia quando era ministro dell’energia sul finire degli anni ’90, sia all’epoca della leadership della Bta. Pavlov è fuggito in Spagna dopo che la magistratura kazakha l’ha formalmente accusato di aver contribuito nel marzo 2012 all’organizzazione di una serie di attacchi terroristici nella città di Almaty, l’ex capitale del paese centro-asiatico, trasferita nel 1997 ad Astana.
Il Red Notice dell’Interpol si riferiva proprio a questo reato e, racconta il sito di Radio Free Europe, le autorità di Madrid, dandogli seguito, hanno arrestato l’uomo. Ma nel momento in cui da Astana è arrivata la richiesta ufficiale di estradizione, hanno temporeggiato. D’altronde è risaputo che nelle carceri kazakhe i detenuti non se la passano affatto bene. Questo mese si terrà l’udienza per stabilire se Pavlov verrà estradato o meno. È possibile che il polverone che si è alzato in Italia induca i togati iberici a non rimpatriarlo.
Se in Spagna hanno temporeggiato, in Polonia non ci hanno pensato su neanche un secondo e hanno negato risolutamente la richiesta di estradizione nei confronti Muratbek Ketebaev. Mentre si pensa che Pavlov non sia implicato nella partita di potere tra il suo ex datore di lavoro e Nezarbayev (Astana lo vuole soprattutto per fargli spifferare il posto dove Ablyazov si nasconde), Ketebaev è uno degli uomini più vicini al dissidente, se non il più vicino. È inoltre uno dei co-fondatori di Algha (Avanti), movimento d’opposizione che sta fronteggiando proprio in queste settimane un’offensiva giudiziaria da parte del governo. Ketebaev vive in Polonia da qualche anno e pochi giorni fa le autorità locali l’hanno arrestato nella città di Lublino: stesso motivo (Red Notice Interpol) e stessa accusa (gli attentati di Almaty).
Quasi subito, però, è stato rilasciato. I giudici di Lublino hanno spiegato che la richiesta di estradizione giunta dal Kazakhstan lasciava presagire motivazioni politiche. Che la risonanza del caso Shalabaeva abbia influito sulla loro decisione? Non è da escludere, anche se va tenuto conto del fatto che i polacchi sono molto sensibili, quando di mezzo ci sono i diritti umani e gli eredi dell’ex Urss.
Resta il fatto che l’Italia è l’unico paese che finora ha “ceduto” davanti all’offensiva anti-Ablyazov messa in campo da Nezarbayev e ci si domanda legittimamente perché sia potuto accadere questo. Tra le tante tesi andrebbe presa con maggiore cautela quella riguardante i presunti ricatti kazakhi nei confronti di Eni, che ha un ruolo importante a Kashagan, l’immenso giacimento petrolifero del Caspio. Il più grande mai scoperto negli ultimi venti, trent’anni. Nezarbayev potrebbe minacciare la rescissione dei contratti. Sì, ma allora perché mai avrebbe dovuto firmare da poco intese lucrative, proprio su Kashagan, con David Cameron, il premier del paese che ha dato l’asilo a Mukthar Ablyazov?

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