lunedì 22 luglio 2013

Per un congresso di rinnovamento


Franco Gheza 
Riccardo Imberti



Il PD sta attraversando una fase delicatissima che mette a dura prova la sua tenuta a tutti i livelli.

Lo sviluppo del governo Letta coincide con l'avvio della fase congressuale del partito democratico che manifesta atteggiamenti incerti nel suo gruppo dirigente, orfano di una strategia politica necessaria per affrontare le innumerevoli difficoltà di questo tempo.

Il collante interno fra l'esperienza storica dei Cattolici Democratici e dei Democratici di Sinistra sembra ridursi alle rendite di posizione di alcuni leader. Questa deriva non regge più e a nostro parere diventa necessario riprendere le riflessioni e le proposte dell’idea originaria del partito già ben formulata al Lingotto da Walter Veltroni.

Il patrimonio del novecento è importante solo se sapremo utilizzare le storie politiche antecedenti per ispirare una nuova cultura politica, nuovi linguaggi e nuova classe dirigente. Se non sapremo approfittare della stagione congressuale per ridefinire il profilo popolare e riformista del partito avremo come risultato uno sfilacciamento che impedirà di affrontare con serietà la grave crisi del Paese e indebolirà il senso dello stare insieme.

A fronte di queste considerazioni la prima cosa da fare è pensare ad un partito aperto, leggero, libero dai condizionamenti del passato.



Partito aperto.

La scommessa di Bersani per un partito strutturato, organizzato e con una presenza diffusa e capillare sul territorio ha mostrato limiti profondi. A questo risultato ha contribuito la sfiducia dei cittadini nei confronti dei partiti così come essi sono, intesi come strutture chiuse e costose per il bilancio pubblico, tenute in vita per garantire oligarchie sempre più ristrette e preoccupate di conservare il potere. Il partito viene identificato con quei politici che dimostrano di non essere disponibili a rinunciare a privilegi inaccettabili, incapaci di parlare, con i fatti, ai tanti giovani che oggi pagano più di ogni altro la precarietà e la mancanza di futuro.

I partiti sono essenziali per la vita democratica, sono strumenti importanti per la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e proprio per queste ragioni é urgente e necessario mettere mano alla nostra riforma e alla nostra struttura. L'eredità dei partiti del novecento non pare essere adeguata alla stagione che stiamo vivendo, le strutture esistenti sono poco partecipate perchè frequentate da funzionari cooptati più per amicizia che per militanza, capacità e competenza. Una forma siffatta di partito alla fine risulta utile solo per conservare il posto ai leader e sottoleader locali.

Spesso gli organismi dirigenti sono pletorici, chiamati ad approvare decisioni prese altrove e spesso mancanti di numero legale per legittimare proposte programmatiche partecipate e condivise. È necessario riscoprire la gratuità dell’impegno politico, valorizzare il volontariato e la militanza di persone radicate nella società, nel lavoro e nelle professioni, presenti nei corpi intermedi della società e tra la gente e per questo capaci di coglierne i valori, le esigenze e le necessità della comunità. L’applicazione dell’art. 49 della Costituzione richiede trasparenza nella vita interna del partito. Solo in questo modo sarà possibile ricreare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nella politica.



Questione morale

Solo un partito così rinnovato potrà contrastare i tentativi di corruzione che hanno inquinato la politica in questi anni. La malavita organizzata, che credevamo essere la caratteristica di altre regioni del Paese, si è insediata pesantemente al nord e non mancano quotidiani fenomeni corruttivi nei confronti di amministratori e di politici locali. L’esempio della Lombardia è sotto gli occhi di tutti e purtroppo, seppure con diversa gravità, ha coinvolto amministratori di tutti gli schieramenti. Un partito che seriamente intende cambiare la politica e il Paese deve essere irreprensibile, deve pubblicare la provenienza dei suoi finanziamenti, deve chiedere ai propri amministratori la condizione economica all’inizio e alla fine del mandato. Il finanziamento dei gruppi consiliari fino a quello delle rappresentanze istituzionali deve essere soggetto ad un maggiore rigore e determinazione nel porre un limite al finanziamento pubblico della politica. Qualcuno in questi anni ci ha definiti moralisti, ma l’onestà personale e la moralità di tutti è questione politica e va posta tra le priorità discriminanti del nostro agire quotidiano. Il rispetto della legge si chiama legalità, ma è legalità anche il rispetto delle “norme di volontaria auto-limitazione delle proprie azioni senza le quali la libertà sarebbe selvaggia, e diventerebbe legge della giungla, sopruso e sopraffazione dei moltissimi più deboli da parte dei pochi più forti”. Al centro della nostra cultura bisogna riportare il valore della persona, dei suoi diritti e delle sue responsabilità.


Questione politica

Una carenza macroscopica della classe dirigente di questi anni è stata l’incapacità di immaginare il futuro e di dare speranza alle nuove generazioni. La crisi ha accentuato le difficoltà di un necessario cambiamento, ma è proprio nei momenti di crisi che bisogna fare lo sforzo maggiore di riflessione e di progettualità per ricondurre le nostre scelte quotidiane dentro un disegno di ampio respiro. Senza questa politica si perde credibilità ed efficacia nella realizzazione delle riforme, nella lotta ai privilegi, nella promozione della giustizia e nello sviluppo dell’equità.



Pensiamo al primo tema del lavoro. Non vi è dubbio che la congiuntura ha ristretto le maglie occupazionali e ha costretto molte imprese alla chiusura. La nostra economa è caratterizzata da bassa produttività, bassi salari e bassa occupazione, mentre ad essere alta è solo la precarietà.

Per far crescere insieme la produttività, i salari e l’occupazione c’è bisogno di un nuovo patto tra produttori con il metodo della contrattazione e della partecipazione dei lavoratori alla vita dell’azienda. L’art. 46 della Costituzione fu difeso da Giuseppe Di Vittorio contro gli opposti conservatorismi ideologici della destra liberale e del radicalismo di sinistra.
Pensiamo ad un modello produttivo che muovendo dal valore sociale delle imprese possa ridefinire il rapporto tra pubblico e privato con un’attenzione strategica alla sfera dei beni comuni. Dobbiamo recuperare il valore sociale del lavoro. In sostanza dobbiamo rilanciare la domanda interna, restituire fiducia al mondo del lavoro e della produzione, e tutto questo lo dobbiamo fare allargando i confini della cittadinanza insieme alla qualità e all’efficienza della nostra democrazia.



Pensiamo al secondo tema dell’equità sociale e alla riorganizzazione del Welfare.

Il Welfare statale messo in discussione da una cattiva interpretazione della sussidiarietà, va aggiornato nella sua insostituibile funzione redistributiva e integrato dall’esterno laddove vi sono bisogni e domande non soddisfatte. Non il “fai da te”, spesso poco efficace e troppo costoso. Ma il “fare insieme”, attraverso nuovi strumenti di investimento sociale – con incentivi fiscali rivolti alle associazioni e alle organizzazioni no-profit – che agiscano in questa sorta di “secondo Welfare” comunitario. La riorganizzazione dello Stato e dei Comuni, che ne sono il primo volto, non passa soltanto dalla banda larga, dalla messa in sicurezza di suolo e fiumi, su cultura e information technology, su brevetti, su produzioni ad alto contenuto tecnologico, ma anche sul welfare di qualità.



La nostra identità.

Come ha sintetizzato Veltroni al Lingotto: “Noi siamo un partito di centrosinistra. Noi siamo i democratici italiani nati per dare al paese quel ciclo riformista che non ha mai conosciuto. Noi siamo il cambiamento, l’innovazione. In Italia può vincere una alleanza di centrosinistra. E’ molto più difficile che possa farlo una intesa esclusivamente di sinistra. Il Partito Democratico, da parte sua, ha innanzitutto il compito di riprendere il suo cammino, recuperando la direzione di marcia che gli aveva consentito di guadagnare un consenso mai raggiunto, nella storia, dai riformisti italiani”.

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