Franco Gheza
Riccardo Imberti
Il PD sta attraversando una fase
delicatissima che mette a dura prova la sua tenuta a tutti i livelli.
Lo sviluppo del governo Letta coincide
con l'avvio della fase congressuale del partito democratico che
manifesta atteggiamenti incerti nel suo gruppo dirigente, orfano di
una strategia politica necessaria per affrontare le innumerevoli
difficoltà di questo tempo.
Il collante interno fra l'esperienza
storica dei Cattolici Democratici e dei Democratici di Sinistra
sembra ridursi alle rendite di posizione di alcuni leader. Questa
deriva non regge più e a nostro parere diventa necessario riprendere
le riflessioni e le proposte dell’idea originaria del partito già
ben formulata al Lingotto da Walter Veltroni.
Il patrimonio del novecento è
importante solo se sapremo utilizzare le storie politiche antecedenti
per ispirare una nuova cultura politica, nuovi linguaggi e nuova
classe dirigente. Se non sapremo approfittare della stagione
congressuale per ridefinire il profilo popolare e riformista del
partito avremo come risultato uno sfilacciamento che impedirà di
affrontare con serietà la grave crisi del Paese e indebolirà il
senso dello stare insieme.
A fronte di queste considerazioni la
prima cosa da fare è pensare ad un partito aperto, leggero, libero
dai condizionamenti del passato.
Partito aperto.
La scommessa di Bersani per un partito
strutturato, organizzato e con una presenza diffusa e capillare sul
territorio ha mostrato limiti profondi. A questo risultato ha
contribuito la sfiducia dei cittadini nei confronti dei partiti così
come essi sono, intesi come strutture chiuse e costose per il
bilancio pubblico, tenute in vita per garantire oligarchie sempre più
ristrette e preoccupate di conservare il potere. Il partito viene
identificato con quei politici che dimostrano di non essere
disponibili a rinunciare a privilegi inaccettabili, incapaci di
parlare, con i fatti, ai tanti giovani che oggi pagano più di ogni
altro la precarietà e la mancanza di futuro.
I partiti sono essenziali per la vita
democratica, sono strumenti importanti per la partecipazione dei
cittadini alla vita pubblica e proprio per queste ragioni é urgente
e necessario mettere mano alla nostra riforma e alla nostra
struttura. L'eredità dei partiti del novecento non pare essere
adeguata alla stagione che stiamo vivendo, le strutture esistenti
sono poco partecipate perchè frequentate da funzionari cooptati più
per amicizia che per militanza, capacità e competenza. Una forma
siffatta di partito alla fine risulta utile solo per conservare il
posto ai leader e sottoleader locali.
Spesso gli organismi dirigenti sono
pletorici, chiamati ad approvare decisioni prese altrove e spesso
mancanti di numero legale per legittimare proposte programmatiche
partecipate e condivise. È necessario riscoprire la gratuità
dell’impegno politico, valorizzare il volontariato e la militanza
di persone radicate nella società, nel lavoro e nelle professioni,
presenti nei corpi intermedi della società e tra la gente e per
questo capaci di coglierne i valori, le esigenze e le necessità
della comunità. L’applicazione dell’art. 49 della Costituzione
richiede trasparenza nella vita interna del partito. Solo in questo
modo sarà possibile ricreare la fiducia dei cittadini nelle
istituzioni e nella politica.
Questione morale
Solo un partito così rinnovato potrà
contrastare i tentativi di corruzione che hanno inquinato la politica
in questi anni. La malavita organizzata, che credevamo essere la
caratteristica di altre regioni del Paese, si è insediata
pesantemente al nord e non mancano quotidiani fenomeni corruttivi nei
confronti di amministratori e di politici locali. L’esempio della
Lombardia è sotto gli occhi di tutti e purtroppo, seppure con
diversa gravità, ha coinvolto amministratori di tutti gli
schieramenti. Un partito che seriamente intende cambiare la politica
e il Paese deve essere irreprensibile, deve pubblicare la provenienza
dei suoi finanziamenti, deve chiedere ai propri amministratori la
condizione economica all’inizio e alla fine del mandato. Il
finanziamento dei gruppi consiliari fino a quello delle
rappresentanze istituzionali deve essere soggetto ad un maggiore
rigore e determinazione nel porre un limite al finanziamento pubblico
della politica. Qualcuno in questi anni ci ha definiti moralisti, ma
l’onestà personale e la moralità di tutti è questione politica e
va posta tra le priorità discriminanti del nostro agire quotidiano.
Il rispetto della legge si chiama legalità, ma è legalità anche il
rispetto delle “norme di volontaria auto-limitazione delle proprie
azioni senza le quali la libertà sarebbe selvaggia, e diventerebbe
legge della giungla, sopruso e sopraffazione dei moltissimi più
deboli da parte dei pochi più forti”. Al centro della nostra
cultura bisogna riportare il valore della persona, dei suoi diritti e
delle sue responsabilità.
Questione politica
Una carenza macroscopica della classe
dirigente di questi anni è stata l’incapacità di immaginare il
futuro e di dare speranza alle nuove generazioni. La crisi ha
accentuato le difficoltà di un necessario cambiamento, ma è
proprio nei momenti di crisi che bisogna fare lo sforzo maggiore di
riflessione e di progettualità per ricondurre le nostre scelte
quotidiane dentro un disegno di ampio respiro. Senza questa politica
si perde credibilità ed efficacia nella realizzazione delle riforme,
nella lotta ai privilegi, nella promozione della giustizia e nello
sviluppo dell’equità.
Pensiamo al primo tema del lavoro.
Non vi è dubbio che la congiuntura ha ristretto le maglie
occupazionali e ha costretto molte imprese alla chiusura. La nostra
economa è caratterizzata da bassa produttività, bassi salari e
bassa occupazione, mentre ad essere alta è solo la precarietà.
Per far crescere insieme la
produttività, i salari e l’occupazione c’è bisogno di un nuovo
patto tra produttori con il metodo della contrattazione e della
partecipazione dei lavoratori alla vita dell’azienda. L’art. 46
della Costituzione fu difeso da Giuseppe Di Vittorio contro gli
opposti conservatorismi ideologici della destra liberale e del
radicalismo di sinistra.
Pensiamo ad un modello produttivo che muovendo dal valore sociale delle imprese possa ridefinire il rapporto tra pubblico e privato con un’attenzione strategica alla sfera dei beni comuni. Dobbiamo recuperare il valore sociale del lavoro. In sostanza dobbiamo rilanciare la domanda interna, restituire fiducia al mondo del lavoro e della produzione, e tutto questo lo dobbiamo fare allargando i confini della cittadinanza insieme alla qualità e all’efficienza della nostra democrazia.
Pensiamo ad un modello produttivo che muovendo dal valore sociale delle imprese possa ridefinire il rapporto tra pubblico e privato con un’attenzione strategica alla sfera dei beni comuni. Dobbiamo recuperare il valore sociale del lavoro. In sostanza dobbiamo rilanciare la domanda interna, restituire fiducia al mondo del lavoro e della produzione, e tutto questo lo dobbiamo fare allargando i confini della cittadinanza insieme alla qualità e all’efficienza della nostra democrazia.
Pensiamo al secondo tema dell’equità
sociale e alla riorganizzazione del Welfare.
Il Welfare statale messo in
discussione da una cattiva interpretazione della sussidiarietà, va
aggiornato nella sua insostituibile funzione redistributiva e
integrato dall’esterno laddove vi sono bisogni e domande non
soddisfatte. Non il “fai da te”, spesso poco efficace e troppo
costoso. Ma il “fare insieme”, attraverso nuovi strumenti di
investimento sociale – con incentivi fiscali rivolti alle
associazioni e alle organizzazioni no-profit – che agiscano in
questa sorta di “secondo Welfare” comunitario. La
riorganizzazione dello Stato e dei Comuni, che ne sono il primo
volto, non passa soltanto dalla banda larga, dalla messa in sicurezza
di suolo e fiumi, su cultura e information technology, su brevetti,
su produzioni ad alto contenuto tecnologico, ma anche sul welfare di
qualità.
La nostra identità.
Come ha sintetizzato Veltroni al
Lingotto: “Noi siamo un partito di centrosinistra. Noi siamo i
democratici italiani nati per dare al paese quel ciclo riformista che
non ha mai conosciuto. Noi siamo il cambiamento, l’innovazione. In
Italia può vincere una alleanza di centrosinistra. E’ molto più
difficile che possa farlo una intesa esclusivamente di sinistra. Il
Partito Democratico, da parte sua, ha innanzitutto il compito di
riprendere il suo cammino, recuperando la direzione di marcia che gli
aveva consentito di guadagnare un consenso mai raggiunto, nella
storia, dai riformisti italiani”.
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