mercoledì 11 febbraio 2015

Renzi: si va avanti, i numeri ci sono Berlusconi ora è in un vicolo cieco.


Corriere della Sera 11/02/15
corriere.it
«Più Silvio Berlusconi minaccia le elezioni più crescono i nostri numeri al Senato, è matematico», è un Matteo Renzi tranquillo, che non fa propaganda né tenta la carta dello sbruffone, quello che fa questi ragionamenti.

Un Matteo Renzi che fa il presidente del Consiglio e deve avere tutti i pezzi sulla scacchiera, inclusa la regina, quella che più volte aiuta a fare scacco matto. «In questo modo la nostra maggioranza è blindata fino al 2018, checché ne dica Silvio Berlusconi che vorrebbe andare al voto addirittura nel 2015 pur di mantenere il Consultellum, sperando di guadagnare qualcosa. Non solo, se va avanti così noi andiamo alle elezioni nel 2018 e vinciamo».

E ancora: «Ma ha interrogato i suoi in proposito? Vedrà che in Senato, dove abbiamo una maggioranza di più stretta misura più lui insiste più lì la situazione sarà tranquilla perché i parlamentari, pur di non andare al voto, a Palazzo Madama voteranno molti dei nostri provvedimenti».

Il presidente del Consiglio sembra quasi augurarsi il «Berlusconi furioso». Innanzitutto perché a primavera regalerà al centrosinistra la Campania. L’ennesima regione strappata alla destra, visto che in queste condizioni sarà assai complicato per il Nuovo centrodestra andare con Forza Italia in quella terra e non con il Partito democratico. Quella è un’operazione che il presidente del Consiglio aveva in mente sin dall’inizio. Cioè sin da quando ha visto che in quella regione il Partito democratico era diviso in bande e per questa ragione rischiava di perdere. L’apporto del Nuovo centrodestra consentirà a Renzi di ottenere anche questa regione.

Ma non solo. È una partita più ambiziosa delle elezioni regionali quella che Matteo Renzi si sta giocando: la partita di una «maggioranza blindata fino al 2018», che «intercetta la ripresa» e «non sciupa questa occasione» e, quindi, «vince» anche alle prossime elezioni, mettendo in cantiere «nuove riforme». Perché l’idea del premier è quella di «far uscire il Paese dalla crisi» e di rilanciarlo per «aprire una nuova stagione».

Perciò l’alzata di scudi di Silvio Berlusconi lo preoccupa nel contingente, ma solo fino a un certo punto: «Dai voti del primo giorno di ripresa della riforma costituzionale alla Camera, quelli in cui Forza Italia doveva dimostrare la grande opposizione — dice ai suoi — mi pare di aver visto solo un gran delirio da cui non sanno come uscire. E nonostante Berlusconi abbia tentato di fare tutto ciò per ricompattare il partito non mi pare che ci sia riuscito, anzi».

Secondo il presidente del Consiglio, che, come è noto, non usa le sfumature per descrivere la situazione politica, Berlusconi «si è infilato in un vicolo cieco». E si è messo «con Beppe Grillo e Matteo Salvini nel mondo di chi protesta e non propone». Peraltro, ultimo arrivato in una terra che non è la sua. Nemmeno tanto bene accetto. Tanto che i parlamentari di Forza Italia da ieri mandano sms a tutti, colleghi di Camera e Senato di diversi gruppi (dal Partito democratico al Nuovo centro democratico, per intendersi) e a giornalisti per dire loro che non capiscono più le mosse del «capo» e, soprattutto, non le possono approvare come facevano un tempo. Qualcuno di quei messaggini è arrivato anche agli emissari del presidente del Consiglio. Con un unico, evidente, scopo: far sapere all’inquilino di Palazzo Chigi che non tutti i deputati e senatori azzurri la pensano come l’ex Cavaliere. È per questa ragione che Renzi, tranquillo, assicura ai suoi: «Vedrete che una ventina di parlamentari di Forza Italia a Palazzo Madama voterà per noi ogni volta che ci sarà bisogno».

Dopodiché Renzi tutto è tranne che un incosciente, anzi è un gran calcolatore: studia ogni mossa con grande attenzione e non lascia nulla al caso. Sa bene che alla Camera «la partita è completamente diversa da quella del Senato per i numeri». A Montecitorio, ha spiegato ai fedelissimi, prima o poi passa tutto, magari più lentamente, se questi di Forza Italia continuano sulla linea di Renato Brunetta e magari sull’Italicum si può anche slittare a settembre ma ci si arriva, senza toccare una virgola, perché, come abbiamo detto più volte, quella legge ormai non si tocca più. È a Palazzo Madama «che comincia un’altra partita». Anche lì i «numeri ci sono». Ma non sono solidi come quelli della Camera, per cui «bisognerà procedere giorno per giorno», ma «ci aiuterà la mancanza di lucidità di Berlusconi che per andare dietro a Matteo Salvini sta ugualmente spappolando il suo partito e sta allontanando da lui il Nuovo centrodestra».

Perciò la parola d’ordine del presidente del Consiglio è una sola: «Sulle riforme si va avanti come prima, più di prima». Nessun tentennamento nemmeno verso la sinistra interna: «Pensare di ricambiare la legge elettorale adesso, dopo che l’abbiamo discussa, ridiscussa e cambiata un sacco di volte, accettando molte proposte della minoranza e delle altre forze politiche significa soltanto volerla mandare per le lunghe», spiega il presidente del Consiglio ai collaboratori. E «di fatto significa non farla per niente», ma «noi non ci fermeremo». E su questo il presidente del Consiglio non ha esitazioni o dubbi: «Non si torna indietro, io non torno indietro. Non si pensi che siccome Forza Italia è partita all’attacco, o perché c’è chi è scettico dentro lo stesso Partito democratico io ceda».

Anzi, di più. Ai parlamentari del Partito democratico, nella direzione prevista per lunedì 16 febbraio il premier-segretario farà un discorso più chiaro (e più semplice) del solito, benché l’eloquio esplicito non gli faccia certo difetto. Dirà loro senza tanti mezzi termini che «toccherà al Partito democratico dimostrare senso di responsabilità e di lealtà». Il che significa mettere ogni parlamentare del Pd di fronte alla propria coscienza.

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