domenica 15 febbraio 2015

Il premier ora punta sul Pd “Berlusconi è nel caos i suoi in aula piangevano”


FRANCESCO BEI
La Repubblica 15 febbraio 2015
“È stata brutta ma il partito ha tenuto, tutti sono stati leali” E la minoranza rivendica i “miglioramenti” ottenuti sul testo 
Non sarà buonismo veltroniano, ma il giorno dopo la prova di forza alla Camera Matteo Renzi è soddisfatto, addirittura «felice», e il suo primo pensiero va a un bene che ritiene di dover preservare: l’unità del proprio partito. Ancora più essenziale ora dopo l’incattivirsi del clima in Parlamento con le opposizioni. Per cui, posata la polvere della seduta fiume, il premier in privato dà atto alla minoranza di non aver giocato allo sfascio. «In Forza Italia è scoppiato il caos e noi rischiavamo di fare la stessa fine. Invece il Pd ha tenuto».
Un passaggio importante, che sarà valorizzato domani nell’intervento del segretario in Direzione. Perché il Pd abbia la consapevolezza di essere «l’unica architettura politico-istituzionale » su cui si può reggere il paese. L’apprezzamento di Renzi va in particolare a Pierluigi Bersani che «si è dato fare». Ma anche Gianni Cuperlo «ha lavorato bene». Persino Stefano Fassina, uscito dall’aula e aventiniano come le opposizioni, «era contrario alla riforma ma è stato intellettualmente onesto». Insomma, la conclusione è una conferma del carattere «aperto» del Pd: «Certo, abbiamo litigato, ma poi ci siamo ricomposti e tutti hanno votato. Invece il Movimento 5 Stelle si è tirato fuori e Forza Italia è spaccata». Ai suoi Renzi ha raccontato un particolare della nottata in aula che l’ha molto colpito: «C’era la deputata forzista Elena Centemero, rimasta in aula a controllare, che piangeva al momento del voto finale e continuava a ripetere: “Dovevamo esserci anche noi, non riesco a capire perché ce ne siamo andati”. Piangeva, capite?». Con Fitto rimasto sulle barricate e il gruppo parlamentare forzista diviso tra favorevoli e contrari al confronto con il governo, il premier guarda a Berlusconi con sufficienza. Come se ormai non fosse più un suo problema: «È costretto a inseguire i suoi, ha un casino in casa tremendo ».
Certo, nella narrazione renziana quell’immagine dell’emiciclo di Montecitorio semi-deserto stona, è un vulnus alla sempre sbandierata volontà di procedere con una larga maggioranza per non ripetere gli errori del passato. «È stata brutta — confida in privato — ma del resto anche ad agosto, al Senato, Lega e grillini erano usciti quando ci fu il voto finale. L’importante è avercela fatta, noi rispondiamo agli italiani non a Brunetta o Salvini». Certo, la minoranza dem continuerà a invocare il ritorno al tavolo delle opposizioni, am senza strappi. «Adesso basta — ha twittato ieri Bersani prendende le distanze da Boccia — accendere micce. Da domani si lavora perché l’Aula non sia mezza vuota». Ma la linea, a parte gli oppositori a prescindere, sembra essere quella di rivendicare il tanto ottenuto nel serrato confronto interno con Boschi, Fiano, Renzi e compagni. Il costituzionalista dem Andrea Giorgis, bersaniano, elenca puntigliosamente tutti i «miglioramenti» del testo nel passaggio dal Senato alla Camera: «Parlare di deriva autoritaria è un’accusa ridicola. È stato innalzato il quorum per l’elezione del capo dello Stato, è stato introdotto il controllo pre-venti- vo della Consulta sull’Italicum, è stato soppresso il voto bloccato — un sì o un no — sui provvedimenti del governo. Potrei andare avanti: sono tutte modifiche che aumentano le garanzie per le minoranze e rafforzano il carattere parlamentare della forma di governo ». Per Giorgis insomma, chi parla di democrazia a rischio «forse non ha letto la riforma».
Dunque, passata la bufera ora che fare? Per Renzi sulle riforme è il caso di aprire una fase di decantazione, una sorta di moratoria di qualche settimana per lasciar passare altri vagoni del convoglio. Il prossimo consiglio dei ministri sarà dedicato alle partite Iva, al decreto legislativo sul «Fisco amico» e al decreto sul Job Act per ridurre i contratti precari. Dunque l’economia e il lavoro tornano in primo piano. Ma anche i diritti civili saranno mandati avanti, con il ddl sulle coppie di fatto omosessuali pronto a ricevere luce verde a palazzo Madama. Quanto allo ius soli, ovvero la cittadinanza per i bambini figli di stranieri ma nati in Italia, ci vorrà un po’ più di tempo. «Meglio aspettare le regionali», sussurra il premier. In modo da non regalare a Salvini un vantaggio propagandistico per le elezioni in Veneto.

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