sabato 7 febbraio 2015

“Frequenze, stop al salasso delle piccole tv ”


ALBERTO D’ARGENIO
La Repubblica 7 febbraio 2015
Il sottosegretario Giacomelli conferma la fine degli sconti per Mediaset e Rai: “Oneri troppo pesanti per gli altri” Ecco come il Biscione è arrivato a pagare lo 0,14% del suo fatturato, contro il 15 delle piccole emittenti 
La polemica scatenata da Forza Italia non ferma il governo sulla riforma del canone per l’uso delle frequenze televisive che tanto ha fatto infuriare Berlusconi. «Ma certo che andiamo avanti», spiega il sottosegretario con delega alle comunicazioni Antonello Giacomelli, padre dell’emendamento al Milleproroghe che ha portato gli azzurri ad accusare Renzi di ritorsione per la rottura del Nazareno. «Ci troviamo - aggiunge - di fronte ad un’esigenza del sistema perché il peso del canone com’è ora determina un onere eccessivo per gli operatori di rete: nelle prossime settimane approveremo la riforma sui canoni per l’uso delle frequenze».
Ieri ha rinfocolato la polemica il senatore azzurro Augusto Minzolini denunciando «una stangata da 50 milioni per Mediaset che ricorda metodi da Scarface». Gli risponde il dem Anzaldi: «Ma quale stangata, togliamo lo sconto accordato con una norma sbagliata dall’Autorità per le comunicazioni (Agcom, ndr) su un canone che hanno sempre pagato».
Negli ultimi 25 anni Rai, Mediaset e le altre emittenti versavano una sorta di affitto per l’uso delle frequenze. Nel 2013 la tv pubblica e il Biscione avevano pagato una ventina di milioni a testa. Poi a fine settembre l’Agcom - a maggioranza di centrodestra e nonostante il voto contrario del suo presidente Cardani - ha cambiato i criteri per definire il canone - non si calcola più in base agli introiti - con effetti devastanti sul mercato. Risultato: nel 2014 Mediaset anziché l’1% del fatturato avrebbe dovuto versare lo 0,14%, ovvero tre milioni con uno sconto di 14 milioni. A regime, ovvero nel 2017, il Biscione avrebbe pagato circa 13 milioni, lo 0,5% del fatturato, con un risparmio quasi del 50% rispetto al canone precedente. Per recuperare i soldi persi, la delibera dell’Autorità imponeva alle piccole emittenti e a quelle locali tariffe fino al 15% del fatturato, portandole di fatto al di fuori del mercato.
Una situazione che non era sfuggita alla Commissione europea che a luglio, di fronte alla bozza di delibera dell’Agcom, aveva scritto una dura lettera a Roma intimandola a cambiare strada: «Il nuovo sistema non dovrebbe comportare condizioni più gravose per i nuovi entranti né nuovi vantaggi per gli operatori esistenti, ulteriori a quelli ottenuti per effetto delle passate violazioni». Altrimenti, concludeva, la Ue non chiuderà la procedura d’infrazione contro la Gasparri. Preoccupazioni che il governo, ovvero Giacomelli, aveva fatto proprie in due lettere all’Agcom, che però è andata avanti lo stesso e il 20 settembre ha approvato la delibera. Ma il ministero dello Sviluppo il 29 dicembre, quando il Nazareno era ancora vivo e vegeto, ha annullato la decisione dell’Agcom e ha promesso la riforma del sistema, peraltro già annunciata da Giacomelli qualche mese prima. Con il corollario che l’emendamento al Milleproroghe non è un fulmine a ciel sereno e non è vissuto dal governo come una ritorsione contro Berlusconi per la rottura del patto. E che, sempre per l’esecutivo, non è una stangata contro Mediaset, visto che la riforma cancellerà lo sconto dell’Agcom ma terrà il canone al di sotto dell’1% pagato fino al 2013 perché il mercato della televisione digitale è diverso da quello della vecchia tv analogica. Ergo Mediaset pagherà meno dei 17 milioni del 2013, ma più dei 3 previsti per il 2014.
Una situazione, quella delle frequenze, che da almeno 25 anni ruota intorno al conflitto di interessi di Berlusconi, ovvero quelle «violazioni passate» evidenziate anche da Bruxelles. La legge Mammì del ’90 ha permesso al Biscione di pagare 1,2 miliardi all’anno per le sue frequenze. Solo nel 2000 dopo una battaglia furiosa il governo Amato si adeguò alla prassi europea imponendo l’1% del fatturato, per Mediaset circa 40 milioni di euro all’anno. Cifra ritoccata verso il basso nel 2003 dal centrodestra e ancora rivista dal governo Monti nel 2012. A dimostrazione che Renzi non introduce una nuova tassa ma si limita a ripristinare, pur tagliandolo leggermente, un canone esistente da sempre. La prossima settimana l’emendamento del governo, bloccato dalle proteste di Fi, verrà ripresentato (si cerca il compromesso con il Tesoro per compensare le leggere perdite rispetto al 2013 con il mini-taglio del canone) e a settimane la riforma sarà operativa.

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