martedì 10 febbraio 2015

Renzi conta su altri voti: ho ampi margini.


Corriere della Sera 09/02/15
corriere.it
Matteo Renzi deve riconfigurare la sua strategia. Silvio Berlusconi ha rotto il patto del Nazareno e promette battaglia. Non è tattica per ottenere qualcos’altro. Il presidente del Consiglio lo sa bene: «Il leader di Forza Italia non tornerà indietro. È entrato in campagna elettorale permanente».

 Il che non vuol dire che quando gli converrà l’ex Cavaliere non voterà a favore dei provvedimenti del governo. L’Italicum, per esempio. A Berlusconi, tutto sommato, quella modifica dell’attuale legge elettorale non va male. E quella riforma, per il presidente del Consiglio, «non si tocca». Il premier non ha intenzione alcuna di mettersi a fare giochetti sui capilista per accontentare la sua minoranza interna. «Quelli — spiegano al Nazareno — hanno solo il problema di farsi rieleggere i loro e stanno facendo questa battaglia nella speranza di avere una quota garantita dalla segreteria quando verrà il momento delle elezioni, non certo per ottenere delle preferenze che non hanno».

 Né è intenzione di Renzi agitare lo spauracchio delle preferenze per spaventare l’ex Cavaliere agitando o prefigurando altri possibili cambiamenti dell’Italicum che in realtà non piacciono nemmeno a lui. «Quella è la legge e quella rimane».

 Già, il sistema che è appena stato approvato al Senato e che ora verrà esaminato dalla Camera gli serve per dare vita a quello che lui ama chiamare «il Partito degli Italiani», ossia, il «progetto originario del Partito democratico», e a quel l’ipotesi non rinuncerà per nulla al mondo. Perché per la sua cultura politica «il bipolarismo coincide con il bipartitismo» e l’Italicum potrebbe essere la fonte di tutto ciò.

 Del resto, non sembra preoccupare il governo nemmeno la minaccia, che pure qualcuno agita, di un’eventuale bocciatura della Corte costituzionale. «Non c’è nessun problema, siamo certi che la Consulta darà il via libera senza problemi all’Italicum», spiega il renzianissimo David Ermini. Se riuscisse a farla passare solo alla Camera, pazienza: grazie al Consultellum, al Senato lo sbarramento è talmente alto che i piccoli partiti, intendendo per tali anche quelli che veleggiano intorno al cinque per cento, verrebbero decimati.

 Ma Berlusconi fa la faccia feroce sulla riforma costituzionale del Senato e del Titolo V della Carta fondamentale e sul resto dei provvedimenti che il governo Renzi metterà in campo, forte della maggioranza esigua di cui l’esecutivo dispone a Palazzo Madama.

 Però Renzi, che, come ha spiegato più volte, non è un «improvvisatore», bensì «uno che studia tutte le situazioni» si è preparato anche a questa evenienza. «Venti di quelli di Berlusconi sono già con noi in Senato e basta guardare ai movimenti costanti che si registrano in quel ramo del Parlamento, anche nel Movimento 5 Stelle, per capire che la situazione è in movimento». Insomma «l’azione di governo non rischia nulla, abbiamo un margine ampio».

 L’unico dubbio del presidente del Consiglio riguarda la riforma costituzionale del Senato, «al limite, quella potrebbe essere cambiata, non ora nella prima lettura della Camera, ma nella seconda, a Palazzo Madama», però «non è affatto detto», «potrebbe accadere solo se non ci sono i numeri, ma io, sinceramente, e lo dico non per propaganda, credo che ci saranno». 

La scommessa di Renzi è basata sull’istinto di sopravvivenza dei parlamentari, i quali sanno che, anche se è vero che un presidente della Repubblica appena eletto difficilmente manda il Paese al voto, è altrettanto improbabile che per l’ennesima volta un capo dello Stato dia vita a un governo non legittimato dalle elezioni. Perciò meglio tenersi ben stretto il governo Renzi. Il quale Renzi non cambia il suo atteggiamento di fronte alle difficoltà di questi giorni.

 L’offensiva di Silvio Berlusconi non gli ha fatto cambiare itinerario. È vero che era convinto che a un certo punto il leader di Forza Italia «sbollisse la rabbia» e «si facesse una ragione di quello che era successo», anche perché «non era la prima volta che il nome di Sergio Mattarella gli veniva fatto, visto che era già stato sondato più di venti giorni fa su di lui».

 L’eccesso di reazione da parte dell’ex Cavaliere lo ha quindi sorpreso. Ma fino a un certo punto. Perché gli ambasciatori di via del Plebiscito gli avevano già riferito dell’arrabbiatura del leader di Forza Italia sulla norma del 3 per cento sul decreto fiscale.

 Non era questo ciò che Berlusconi aveva chiesto al presidente del Consiglio. Era un altro il provvedimento che l’ex Cavaliere, su suggerimento del suo avvocato Nicolò Ghedini, voleva e che non ha avuto. Ed è da allora, in realtà che il patto del Nazareno ha cominciato a incrinarsi, senza che se ne accorgesse nessuno. O quasi.

Nessun commento:

Posta un commento