martedì 17 febbraio 2015

Il nuovo falso in bilancio che diventa sempre punibile.


Corriere della Sera 17/02/15
corriere.it
L’accordo politico sulla giustizia è stato annunciato troppo volte, anche quando non c’era, per essere sicuri dell’esito positivo dell’ultima riunione. Meglio limitarsi a dire che ieri il ministro Andrea Orlando e i rappresentanti dei partiti di maggioranza hanno trovato un’intesa di massima sulla riscrittura del falso in bilancio — capitolo importante della riforma anticorruzione — contenuta nell’emendamento che l’esecutivo presenterà al testo in discussione al Senato. Non in commissione, dove il clima non è dei migliori e l’esito delle votazioni sempre incerto, bensì direttamente in Aula, prima della discussione finale. Anche perché, appena si prova ad approfondire il merito della soluzione trovata, si scopre che i dettagli non sono ancora nero su bianco, ma saranno fondamentali perché il patto siglato ieri regga alla prova del Parlamento.

In linea generale, Partito democratico e Nuovo centrodestra — le due anime che più contano e più restano distanti sulla giustizia — avrebbero deciso di abbandonare le soglie di non punibilità dei bilanci e delle comunicazioni truccate o sbagliate. Niente più percentuale minima non perseguibile, dunque; tutto rientrerà nell’area penale. Resteranno però distinzioni importanti a seconda dell’entità del falso. Per i piccoli e piccolissimi imprenditori la pena sarebbe minima (da uno a tre anni di carcere), offrendo così la possibilità di patteggiamenti e altre vie d’uscita, almeno la prima volta.

L’individuazione di questo tipo di aziende sarebbe ancorata al volume d’affari: sotto la soglia di 600.000 euro di ricavo lordo annuo (calcolata considerando il limite minimo per poter dichiarare il fallimento, moltiplicato per una certa quota) si potrà accedere alla sanzione ridotta. Per i falsi ordinari, invece, la pena dovrebbe essere fissata tra due e sei anni di carcere, mentre per le società quotate in Borsa si andrà da due (o tre) anni nel minimo fino a un massimo di otto.

Resta la reintroduzione della procedibilità d’ufficio, ma in cambio chi è più attento alle ragioni degli industriali (soprattutto di piccole dimensioni) aspetta di vedere concretamente come si potrà evitare di colpire in maniera esagerata fatti e alterazioni considerate irrilevanti o di «offensività» limitata, rispetto a quelli sistematici che possono produrre danni sensibili. «Stiamo lavorando costruttivamente a una soluzione che tenga in considerazione i diversi interessi in gioco», annuncia il viceministro della Giustizia Enrico Costa, che in questa partita rappresenta il Ncd. Oltre al Guardasigilli, anche in casa Pd si guarda con ottimismo a ciò che potrà accadere, nella consapevolezza che al momento della presentazione ufficiale dei testi, anche una virgola o una parola in più o in meno potrebbero rimettere tutto in gioco.

È quanto accaduto finora con la proposta governativa sulla prescrizione, annunciata in estate e presentata finalmente ieri come emendamento alle proposte in discussione alla Camera. È rimasta intatta l’idea di sospendere il calcolo dei tempi per un massimo di due anni dopo la condanna di primo grado, e fino a un anno dopo la sentenza di Appello, in modo da adeguare i tempi «alle concrete esigenze processuali». I termini ordinari rimangono quelli stabiliti dal codice, ma con l’aggiunta di queste parentesi. Il motivo, si legge nella relazione di accompagnamento, è che una «affermazione di responsabilità» dell’imputato, anche solo in primo grado, è «assolutamente incompatibile con l’ulteriore decorso del termine utile al cosiddetto oblio collettivo rispetto al fatto criminoso commesso».

Una norma transitoria specifica che la riforma si applicherà solo «ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge», quindi non ai processi in corso. Traduzione ad uso del dibattito politico contemporaneo: per Berlusconi, sotto processo a Napoli con l’accusa di corruzione per la compravendita dei parlamentari, i termini della prescrizione non cambiano; comunque finirà il dibattimento che si sta celebrando ora, quella vicenda giudiziaria è destinata a morire prima della sentenza definitiva.

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