mercoledì 25 febbraio 2015

Il manifesto di Delrio sul renzismo al governo


GOFFREDO DE MARCHIS
La Repubblica 25 febbraio 2015
Si sarebbe potuto intitolare “Io e Matteo” il libro che Graziano Delrio ha scritto in coincidenza con il primo anno di governo Renzi. Si chiama invece “Cambiando l’Italia. Rinnovare la politica, ritrovare la fiducia” (Marsilio). Ma in queste pagine davvero ci sono solo due personaggi, lo stesso sottosegretario e il premier, tagliando fuori cerchi magici, fedelissimi, dissidenti del Pd e correnti, compresa quella di cui farà parte Delrio appena costituita. Perché l’obiettivo è fissare le priorità del renzismo, offrire la visione politica e strategica dell’azione dell’ex sindaco di Firenze. Dare anche, alla sua avventura, le basi culturali con tante citazioni che vanno da Hannah Arendt a Giorgio La Pira, da David Foster Wallace a Michel Foucault. Alla fine però il termine che definisce meglio questa stagione è sempre quello: cambiamento. «Al nostro Paese — scrive Delrio — manca il coraggio, la voglia di provarci, di fare qualcosa di nuovo e non stare chiusi nelle certezze, che poi sono quelle che determinano privilegi e sono determinate da privilegi».
Delrio è stato il primo compagno di viaggio di Renzi appartenente alla vecchia guardia. Per nove anni sindaco di Reggio Emilia, a lungo presidente dell’Anci, è stato la prova che le parole d’ordine del premier potevano attecchire anche nella rossa Emilia, dominata dall’eredità comunista e fedele alla “ditta” di bersaniana memoria. Parla poco della sua vita privata, il sottosegretario. Giusto qualche accenno. Era un «modesto alpinista», suo padre «faceva il muratore». Poi confessa solo un momento di perdita di controllo. «Ho sempre detto ai miei figli di non avere paura di sbagliare e detesto gli insegnanti che non si applicano per incoraggiare i ragazzi a provare e a sbagliare».
Ma questo libro vuole essere un manifesto, mettere in fila i punti di riferimento del renzismo e dell’azione di governo. Il partito viene dipinto come «un’assemblea permanente disorganizzata», che è il modo per dire aperto, leggero, libero e senza confini precisi come può essere con «una ditta organizzata». Il lavoro è il tema dell’attualità dopo l’approvazione del Jobs Act. Delrio ricorda il volume di La Pira “L’attesa della povera gente” quel sogno della piena occupazione che è in fondo il traguardo utopistico della riforma di oggi. Sembra di capire che gli stia particolarmente a cuore la vicenda dell’Ilva, seguita in prima persona. Della via d’uscita della nazionalizzazione per salvare i posti di lavoro. «Il tempo è scaduto per migliaia di persone e famiglie — disse Renzi in consiglio dei ministri — La fabbrica si salva e basta». Delrio ripensò a La Pira: «Non so, mi sono commosso», confida. E qui si torna a Io e Matteo, quel Matteo che Delrio sul cellulare ha memorizzato in rubrica alla voce Mosè.
Gli altri orizzonti sono la pubblica amministrazione, la scuola e le riforme istituzionali in cui il sottosegretario spiega che ha inciso molto la comune provenienza dall’esperienza municipale. Puntare sulle città nella riforma del titolo V «rimane una scelta di fondo, innanzitutto culturale. Le nostre città, infatti, continuano a essere il luogo dove la cittadinanza non è un documento, ma una realtà vissuta».
Un capitolo è dedicato al Sud, che resta molto lontano sia da Firenze sia da Reggio Emilia. Delrio accompagna Renzi a Scampia, nel maggio 2014. Dice che quel giorno nacque la necessità del decreto Sblocca Italia. Ma c’è un divario enorme da recuperare se sono veri i dati che indicano una capacità di produrre nel Mezzogiorno inferiore di 51 miliardi tra il 2007 e il 2014. Ciò che il governo si propone è seguire il modello della Germania riunificata, l’Est che lentamente si avvicina ai parametri dell’Ovest. Sono più obiettivi che visione, ma c’è il tentativo di «trovare il filo rosso, il senso delle cose». È un punto di partenza.

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