sabato 28 febbraio 2015

«Io c’ero. La minoranza non è omogenea».


Corriere della Sera 28/02/15
Alessandro Trocino
«Renzi ha fatto cose di sinistra, come gli 80 euro e la tassazione delle rendite finanziarie. Ma rendere così liberi i licenziamenti mi sembra un’operazione di destra». 
Cesare Damiano, esponente di spicco della minoranza pd, a differenza di Pier Luigi Bersani e di Gianni Cuperlo, era presente alla riunione pd convocata da Matteo Renzi. 

Riunione molto criticata. 

«Sì, la modalità di convocazione è stata inusuale. E anche la formula non reggeva. Purtroppo si tende a dare troppo enfasi alla comunicazione».

 
E perché è andato?
 
«Appartengo a una vecchia scuola sindacale. Anche se convocano una riunione alle 5 del mattino dietro il convento delle Carmelitane vado, quasi per istinto. E poi la minoranza non è omogenea. E anche se lo fosse, a nessuno verrebbe in mente di dare indicazioni tassative».

 
Bersani e Cuperlo sono stati molto duri. Lei si differenzia dalle loro posizioni? 

«Con Bersani non mi differenzio, perché sul jobs act abbiamo votato entrambi a favore. Cuperlo ha scelto di non partecipare al voto ed è una differenza di impostazione». 

Anche lei però resta molto critico sul Jobs act: perché?
 
«È una riforma troppo schiacciata sulle posizioni della Confindustria. Sui licenziamenti collettivi non tenere conto del parere di due commissioni, votato all’unanimità da renziani e non, è stato un errore e una mancanza di rispetto per il Parlamento. Quando si licenzieranno 20 persone, 15 con le vecchie regole e 5 con le nuove, se il criterio di scelta non fosse legittimo, 15 verrebbero reintegrate e 5 resterebbero fuori dai cancelli, con solo l’indennizzo. È una diseguaglianza che può avere risvolti costituzionali».


Però ha votato a favore del Jobs act.

«Abbiamo accettato la sfida di un nuovo paradigma. Ma se si indebolisce la tutela del posto del lavoro, bisogna che sia più forte nel mercato del lavoro. E questo non è: parlo degli ammortizzatori sociali. Quanto al disboscamento delle forme precarie, bene l’abolizione del contratto a progetto, ma si rischia di tornare al lavoro coordinato e continuativo. Che è ancora più precario».


Non è troppo tardi ormai?

«No, ci sono ancora alcuni decreti attuativi e si può intervenire. Ma non sono fiducioso. Alcuni si erano illusi che avremmo continuato con il metodo Mattarella: io non ero tra quelli, ma sui licenziamenti collettivi c’è stata addirittura una controsvolta».


Cioè?

«Mi sembra che tutto si stia schiacciando tra il sì e il no. E poi vedo che si aprono tanti forni: ma se ammazziamo tutti i fornai, nessuno farà più il pane».


Si dice che Renzi faccia fatica ad ascoltare.

«Sì, va bene che siamo in una situazione rivoluzionaria e i vecchi occhiali non servono più, ma siamo pur sempre un partito che appartiene al socialismo europeo. Vorrei un po’ di coerenza».


La minoranza cosa può fare?

«Spero che i non renziani, come me, facciano battaglie comuni, anche attraverso un patto di consultazione».


A un renziano suonerebbe come una «minaccia».

«Ma no, è un fatto naturale. La maggioranza cerca il massimo della convergenza e anche noi dobbiamo farlo».

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