Intorno alla legge di stabilità si celebreranno i soliti riti. Nel
Pd e nel Pdl non piace a molti. In ogni caso è ciò che il governo Letta
può permettersi, e lascia sospesa una domanda.
La legge di stabilità avrà com’è tradizione un iter agitato in
parlamento. Ai partiti verrà concessa da prassi la possibilità di
incassare e rivendicare miglioramenti secondo i diversi punti di vista.
Si celebreranno alcuni riti, fra i quali l’insoddisfazione degli
industriali e dei sindacati, forse fino a un altrettanto rituale
sciopero. Alla fine, a dicembre, la ex finanziaria vedrà in ogni caso la
luce.
Non sappiamo quale sarà a quel punto il clima politico, anche se il
calo dello spread ai livelli minimi dal 2011 (con un orecchio più che
altro al Congresso Usa) conferma il favore dei mercati per operazioni
che favoriscano la stabilità.
Ecco, la stabilità è sicuramente la vincitrice del varo della legge
che reca il suo nome. Ove si intende stabilità del governo e anche
stabilità psicologica: il messaggio è che l’era delle stangate è alle
spalle.
Tutto sta scegliere che cosa sia necessario all’Italia: una dose di
calmante, quindi di piccole correzioni dell’esistente in una direzione
talmente ampia che tutti (nelle larghe intese) possano considerarla
giusta? Oppure una scossa, come di chi debba fare qualche movimento
brusco per afferrare in corsa il treno della crescita?
Lo si intuiva, oggi ne siamo sicuri: il governo Letta, per le risorse
di cui può disporre e per l’equilibrio politico delicato che deve
rispettare, movimenti bruschi non ne può fare. Può essere la sua forza o
la sua debolezza, come si capisce già dalla rivolta di mezzo Pdl e dal
mugugno sordo del congresso Pd. Ma anche chi non voglia approfittare
dell’occasione per obiettivi propri si interroga se l’Italia possa
vivere di calmante per altri diciotto mesi.
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