giovedì 17 ottobre 2013

La manovra dice qualcosa sul governo

Stefano Menichini 
europa  

Intorno alla legge di stabilità si celebreranno i soliti riti. Nel Pd e nel Pdl non piace a molti. In ogni caso è ciò che il governo Letta può permettersi, e lascia sospesa una domanda.
La legge di stabilità avrà com’è tradizione un iter agitato in parlamento. Ai partiti verrà concessa da prassi la possibilità di incassare e rivendicare miglioramenti secondo i diversi punti di vista. Si celebreranno alcuni riti, fra i quali l’insoddisfazione degli industriali e dei sindacati, forse fino a un altrettanto rituale sciopero. Alla fine, a dicembre, la ex finanziaria vedrà in ogni caso la luce.
Non sappiamo quale sarà a quel punto il clima politico, anche se il calo dello spread ai livelli minimi dal 2011 (con un orecchio più che altro al Congresso Usa) conferma il favore dei mercati per operazioni che favoriscano la stabilità.
Ecco, la stabilità è sicuramente la vincitrice del varo della legge che reca il suo nome. Ove si intende stabilità del governo e anche stabilità psicologica: il messaggio è che l’era delle stangate è alle spalle.
Tutto sta scegliere che cosa sia necessario all’Italia: una dose di calmante, quindi di piccole correzioni dell’esistente in una direzione talmente ampia che tutti (nelle larghe intese) possano considerarla giusta? Oppure una scossa, come di chi debba fare qualche movimento brusco per afferrare in corsa il treno della crescita?
Lo si intuiva, oggi ne siamo sicuri: il governo Letta, per le risorse di cui può disporre e per l’equilibrio politico delicato che deve rispettare, movimenti bruschi non ne può fare. Può essere la sua forza o la sua debolezza, come si capisce già dalla rivolta di mezzo Pdl e dal mugugno sordo del congresso Pd. Ma anche chi non voglia approfittare dell’occasione per obiettivi propri si interroga se l’Italia possa vivere di calmante per altri diciotto mesi.

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