A ogni svolta "romana" il sindaco di Firenze viene dato per
politicamente morto. Ma la prospettiva che ha davanti non è affatto
terribile.
Quando alla fine di aprile si insediò il governo Letta, leggemmo
per un lungo periodo analisi che spiegavano come Matteo Renzi fosse fra
le principali vittime politiche della nuova stagione delle larghe
intese.
Più recentemente, Renzi venne dato per sconfitto e superato quando
Letta riuscì a passare gli scogli di agosto (sentenza Mediaset,
Shalabayeva), perché questo sottraeva al sindaco di Firenze la preda
delle elezioni politiche a breve. Nella situazione opposta, nei giorni
bollenti degli ultimatum berlusconiani, Renzi era considerato in crisi
perché il collasso della legislatura gli sottraeva il tempo per vincere
il congresso. Infine, a fiducia per Letta riconquistata, ora Renzi
sarebbe di nuovo da rottamare: stavolta perché l’allungamento dei tempi
del governo gli consegna “solo” la chance della segreteria del Pd.
In poche parole: comunque vadano le cose a Roma, qualunque cosa accada, Matteo Renzi sarebbe sempre quello fregato.
Ora, può darsi che ci siano molti inquilini dei Palazzi che in
effetti cercano in ogni evento il dettaglio utile a fermare l’ascesa del
giovane newcomer. Come è sicuro che l’inner circle fiorentino sia affetto da una ben nota sindrome, per la quale ogni stormir di fronda reca minaccia e odore di trame ostili.
Chi, fuori da entrambi i circoli, può ragionare lucidamente, ha visto
che Renzi non ha mai raccolto tanto consenso popolare come dopo il varo
delle larghe intese, quando cioè avrebbe dovuto essere in crisi nera.
E constata oggi che, in un quadro politico più nitido, con qualche
certezza in più sul prossimo futuro, anche Renzi si gioverà di idee più
chiare, avendo definitivamente capito che il nuovo mestiere al quale
aspirare è quello di segretario del Pd: che non sarà tutto, e non sarà
il sogno della sua vita, ma non è neanche poco. Anzi. Comparando i
precedenti di Blair e di Prodi, è legittimo dedurne che sia meglio
avvicinarsi al governo del paese guidando un partito solidale, piuttosto
che spinti da partiti malmostosi.
Per molti osservatori, i fattori critici per il sindaco (ammesso e
non concesso che Cuperlo non si riveli avversario pericoloso) si
chiamano ascesa di Letta e rilancio del neocentrismo. O le due cose
insieme.
Intanto dissociamo i due concetti.
Letta sarà mite, disposto alla mediazione (s’è visto però fino a
quale punto) e al trasversalismo, ma è un bipolarista convinto. Non ha
mai detto né fatto alcunché che autorizzi il sospetto di mire
neocentriste o addirittura neodemocristiane. Solo commentatori troppo
pigri o nostalgici possono indulgere in certi schematismi. Mentre i
protagonisti del momento, lo stesso Letta e Alfano, sanno che fuori dai
rispettivi campi per loro non c’è che l’avventura. E avventuristi certo
non sono.
Sulla prossima legge elettorale rimane l’incognita ricorrente: se
sarà ritagliata su grandi partiti o su logiche coalizionali. Ma
l’ispirazione maggioritaria non appare revocabile. E trascina con sé
l’esigenza di una forte leadership.
Renzi dovrà prima o poi misurare la propria con quella, temprata in
queste settimane, di Letta? È possibile e non è grave: se sarà
segretario Renzi avrà subito, con cruciali scadenze elettorali a
disposizione in primavera, l’occasione di fare del Pd il partito del
cambiamento radicale, dell’apertura alle nuove generazioni, che
corrisponde al suo profilo forte, da far diventare profilo collettivo
circondandosi di un gruppo dirigente convinto e coerente. Non è una
brutta prospettiva, per uno che ancora giovanissimo è stato già dato
tante volte per politicamente morto.
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