sabato 26 ottobre 2013

Quel centrosinistra «imparentato» con le larghe intese.

Dario Fertilio

Corriere della sera - 26/10/2013
 
Ma il riformismo, che cos’è? Lo inseguivano cinquant’anni fa i leader del centrosinistra, da Moro a Nenni, e lo cercano tutt’ora i partner al governo delle larghe intese. Tuttavia, superfluo dirlo, nessuno è ancora riuscito ad afferrarlo. Ed è proprio in questa coazione a ripetere, e impossibilità a realizzare, che i partecipanti al convegno storico di Bologna individuano le più inquietanti analogie tra passato e presente. Chiamati a raccolta ieri all’Università di Bologna da riviste gloriose come il Mulino e mondoperaio , studiosi del calibro di Ernesto Galli della Loggia, Angelo Panebianco, Gianfranco Pasquino o Michele Salvati concordano pur tra diverse sfumature nel giudicare sostanzialmente fallita l’esperienza di centrosinistra che per circa un decennio, fra il ‘58 e il ‘68, fece sognare una parte degli italiani e arrabbiare un’altra fetta consistente di elettori posti alle ali estreme dello schieramento politico. Fallimento fu perché in sala di regia c’era l’iperconservatore Aldo Moro e perché socialisti e dc furono indotti forzatamente all’alleanza senza reale convinzione, secondo Galli; perché alle ottime premesse programmatiche non fu possibile dare seguito, secondo Pasquino; e anche perché i tempi lunghi della politica italiana sfiancarono inevitabilmente le energie di tutti, ha ricordato Panebianco. Ancora: pesarono le incertezze e cautele del Pci togliattiano, ha ammesso Emanuele Macaluso; il cuore ideologico del partito socialista pulsava in sintonia con «l’unità di classe», ha riconosciuto Piero Ignazi; semplicemente il Psi non era socialdemocratico, è stata una delle osservazioni di Simona Colarizi; mentre Gennaro Acquaviva ha posto l’accento sugli effetti negativi provocati dal crollo del cattolicesimo sociale, seguito al tentativo fallito di creare un partito a sinistra in grado di ridimensionare la Dc. Ne consegue, inevitabilmente, un parallelo con l’oggi. Purtroppo le condizioni per una politica riformista appaiono alquanto peggiorate: al posto del miracolo economico, c’è la crisi globale; invece che la guerra fredda con il suo sistema di alleanze e solidarietà, domina un clima da tutti contro tutti; e niente più fedeltà elettorale ai partiti, ridotti a semplici contenitori intercambiabili. Senza contare la divisione in «tribù» e corporazioni (a cominciare da quelle sindacali) più interessate a opporsi e bloccare che a favorire il nuovo. Eppure, ha ricordato Salvati, una somiglianza fra i due momenti storici esiste: così come ai tempi del centrosinistra, i protagonisti della politica di oggi stanno insieme non per convinzione, ma per forza. Come dire: metti il Pdl al posto della Dc, e il Pd a quello del Psi, e il gioco è fatto. Rimedi? Non se ne vedono altri, per sfuggire al gioco dei veti e degli ostruzionismi incrociati: solo una decisa riforma elettorale in senso maggioritario e un presidenzialismo forte (se all’americana o alla francese, si vedrà) potrebbe salvarci. Utopia, probabilmente, ma anche unica speranza di riuscire a mettere in campo due soggetti politici concorrenti fra i quali sia possibile scegliere, giudicabili anche sul piano del riformismo realizzato.




Nessun commento:

Posta un commento