Letta ha stravinto la battaglia politica d'ottobre, ora anche i
sondaggi premiano lui e il Pd. Ma subito si riapre l'agenda delle misure
da prendere: non sarà più facile di prima mettere d'accordo Pdl e Pd
Sul terreno dello scontro politico, Enrico Letta ha stravinto la
battaglia di ottobre. Ha neutralizzato la minaccia che appariva letale,
la miscela infiammabile della decadenza di Berlusconi. Ha cambiato la
natura dei propri alleati, garantendosi nel Pdl un sostegno
maggioritario e un interlocutore di piena affidabilità personale (quanto
ha contato anche la protezione di Alfano nel caso Shalabayeva…). Ha
conquistato all’azione di governo la prospettiva che riteneva minima
indispensabile, cioè tutto il 2014, costringendo anche Matteo Renzi a
cambiare in corsa i propri programmi di vita.
Tutto perfetto, come certificano i sondaggi sul gradimento personale
del premier e quelli sui consensi per il Pd: se il congresso sarà
condotto in maniera aperta, positiva, con convincenti impegni di
cambiamento per il futuro (tra Renzi e Cuperlo ci sono tutte le
condizioni perché ciò accada), è probabile che al culmine delle primarie
le simpatie per i democratici siano anche più alte di adesso. Come
accadde del resto al termine di quelle del dicembre scorso: una finestra
di opportunità malamente sprecata.
Dove sono allora i rischi, in politica sono sempre presenti?
Si impone di nuovo la dimensione della crisi economica. Letta si
ritrova di fronte una montagna da scalare ben più alta delle trame di
Verdini e Santanchè.
La scarsità di risorse a disposizione torna a scontrarsi con le istanze di maggiore equità. Ieri in parlamento c’è stata bagarre sui tentativi del Pd di ripristinare l’Imu sulle case di maggior pregio, nel tentativo in extremis
di fermare un aumento dell’Iva che invece è ormai un dato di fatto, e
che non mancherà di colpire i consumi come sta già accadendo (3 miliardi
e 700 milioni di gettito Iva in meno da inizio anno).
È solo un esempio, ed è anche comprensibile il timore del governo di
riaprire discussioni su un decreto che ha tempi stretti di conversione
in legge. Vale però per segnalare che la (virtuale) sconfitta di
Berlusconi non rende automaticamente più facili le scelte fra un Pdl che
da adesso in poi a maggior ragione non vorrà subire penalizzazioni, e
un Pd che si ritiene in credito col governo, difficilmente si
accontenterà degli interventi fiscali sul lavoro, e al quale soprattutto
non si potrà più opporre la tesi della situazione bloccata dai ricatti
berlusconiani.
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