Non è una questione di qualità, né di linea politica. La Leopolda è,
come nelle edizioni passate, un momento molto coinvolgente e un format
divertente. I congressi di partito sono molto meno di entrambe le cose,
ma li animano militanti in carne e ossa altrettanto motivati ed
essenziali di coloro che sono convenuti a Firenze (oltre tutto, appunto,
si tratta spesso proprio delle stesse persone).
È che i due eventi sono come l’alfa e l’omega, perfette rappresentazioni
di due modalità opposte di concepire e praticare la passione politica.
Il Pd della vecchia stazione fiorentina è agile, orizzontale, aperto
fino a smarrire il senso dell’appartenenza di partito (da cui le inutili
piccole polemiche sull’assenza delle bandiere), veloce e semplice nei
suoi riti. Quindi forse semplicistico e illusorio, ricreazione dalla
politica più che creazione di politica.
Il Pd dei congressi, che lo ripetiamo a fare, è una macchina
respingente, faticosa, opaca nelle sue liturgie: ovviamente momento
essenziale della democrazia interna, ma altrettanto inutile ai fini
della creazione di politica, tanto è vero che in giro per l’Italia
stanno nascendo gruppi dirigenti locali patchwork, frutti di cordate e
alleanze estemporanee che nulla hanno a che vedere col congresso
nazionale. Senza parlare dell’aspetto odioso dei tesseramenti sospetti,
che stanno dando motivo di decine anzi centinaia di ricorsi: il vero
profondo fallimento della gestione organizzativa uscente.
Chiaro, la iper-frammentazione locale è stata anche voluta, con
l’obiettivo di limitare il potere del futuro probabile segretario
nazionale. Egualmente, sta di fatto che, se toccherà a Matteo Renzi, fra
poco più di un mese lui si troverà a essere il segretario di tutti e
due i Pd. Quello cool della Leopolda e quello old fashioned dei congressi vinti a colpi di tessere.
Nessuno ha ancora capito come il segretario in pectore pensi di
riunificare i due Pd, anzi a dirla tutta c’è il sospetto che neanche lui
l’abbia capito. E che quindi sia tentato di sorvolare, di fare da qui a
dicembre un po’ di surf lessicale sul tema del partito, poi si vedrà:
magari la crisi politica nazionale potrebbe sollevarlo presto
dall’incombenza.
Non si può neanche fargliene una colpa più di tanto. Comunque lo
consideri, il Pd dei congressi appare irriformabile. La sua espressione
più significativa sono state le recenti assemblee nazionali: inquietanti
per il loro nevrotico svolgimento, organismi non inutili bensì
pericolosi.
Avendo già consumato con Veltroni il fallimento del tentativo del
partito liquido, nessuno ha in tasca un valido modello alternativo. Non
c’è dubbio che un Renzi segretario farebbe gesti eclatatanti di
discontinuità, a partire dal suo rimanere sindaco e dal tenersi lontano
da Nazareno (anzi auspicabilmente chiuderlo e cambiare sede). Ma che
cosa sia, e come possa praticamente funzionare, quello che lui chiama
“partito dei sindaci e degli eletti dal popolo”, nessuno l’ha capito.
Forse neanche l’interessato.
C’è grande attesa per il discorso domenicale di Renzi, soprattutto per
le indicazioni che non potrà non contenere quanto alla crisi politica in
corso, alle prospettive della legislatura, alle scelte da compiere
immediatamente sulla legge elettorale sotto la pressione dell’iniziativa
del capo dello stato e nel mentre delle convulsioni berlusconiane.
Dal candidato in testa nei sondaggi ci si aspetta una visione d’insieme
dell’Italia che ha in mente (e questo sarà sicuramente la parte più
efficace del suo intervento) e lo scioglimento di alcune importanti
incertezze sulla contingenza politica. Ma possiamo fin d’ora scommettere
che una incertezza almeno ce la dobbiamo tenere anche dopo la Leopolda:
non abbiamo la medicina per la sindrome schizofrenica dei due Pd.
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