domenica 27 ottobre 2013

Congressi e Leopolda, due Pd inconciliabili?

Stefano Menichini 

Europa  


Non è una questione di qualità, né di linea politica. La Leopolda è, come nelle edizioni passate, un momento molto coinvolgente e un format divertente. I congressi di partito sono molto meno di entrambe le cose, ma li animano militanti in carne e ossa altrettanto motivati ed essenziali di coloro che sono convenuti a Firenze (oltre tutto, appunto, si tratta spesso proprio delle stesse persone).
È che i due eventi sono come l’alfa e l’omega, perfette rappresentazioni di due modalità opposte di concepire e praticare la passione politica.
Il Pd della vecchia stazione fiorentina è agile, orizzontale, aperto fino a smarrire il senso dell’appartenenza di partito (da cui le inutili piccole polemiche sull’assenza delle bandiere), veloce e semplice nei suoi riti. Quindi forse semplicistico e illusorio, ricreazione dalla politica più che creazione di politica.
Il Pd dei congressi, che lo ripetiamo a fare, è una macchina respingente, faticosa, opaca nelle sue liturgie: ovviamente momento essenziale della democrazia interna, ma altrettanto inutile ai fini della creazione di politica, tanto è vero che in giro per l’Italia stanno nascendo gruppi dirigenti locali patchwork, frutti di cordate e alleanze estemporanee che nulla hanno a che vedere col congresso nazionale. Senza parlare dell’aspetto odioso dei tesseramenti sospetti, che stanno dando motivo di decine anzi centinaia di ricorsi: il vero profondo fallimento della gestione organizzativa uscente.
Chiaro, la iper-frammentazione locale è stata anche voluta, con l’obiettivo di limitare il potere del futuro probabile segretario nazionale. Egualmente, sta di fatto che, se toccherà a Matteo Renzi, fra poco più di un mese lui si troverà a essere il segretario di tutti e due i Pd. Quello cool della Leopolda e quello old fashioned dei congressi vinti a colpi di tessere.
Nessuno ha ancora capito come il segretario in pectore pensi di riunificare i due Pd, anzi a dirla tutta c’è il sospetto che neanche lui l’abbia capito. E che quindi sia tentato di sorvolare, di fare da qui a dicembre un po’ di surf lessicale sul tema del partito, poi si vedrà: magari la crisi politica nazionale potrebbe sollevarlo presto dall’incombenza.
Non si può neanche fargliene una colpa più di tanto. Comunque lo consideri, il Pd dei congressi appare irriformabile. La sua espressione più significativa sono state le recenti assemblee nazionali: inquietanti per il loro nevrotico svolgimento, organismi non inutili bensì pericolosi.
Avendo già consumato con Veltroni il fallimento del tentativo del partito liquido, nessuno ha in tasca un valido modello alternativo. Non c’è dubbio che un Renzi segretario farebbe gesti eclatatanti di discontinuità, a partire dal suo rimanere sindaco e dal tenersi lontano da Nazareno (anzi auspicabilmente chiuderlo e cambiare sede). Ma che cosa sia, e come possa praticamente funzionare, quello che lui chiama “partito dei sindaci e degli eletti dal popolo”, nessuno l’ha capito. Forse neanche l’interessato.
C’è grande attesa per il discorso domenicale di Renzi, soprattutto per le indicazioni che non potrà non contenere quanto alla crisi politica in corso, alle prospettive della legislatura, alle scelte da compiere immediatamente sulla legge elettorale sotto la pressione dell’iniziativa del capo dello stato e nel mentre delle convulsioni berlusconiane.
Dal candidato in testa nei sondaggi ci si aspetta una visione d’insieme dell’Italia che ha in mente (e questo sarà sicuramente la parte più efficace del suo intervento) e lo scioglimento di alcune importanti incertezze sulla contingenza politica. Ma possiamo fin d’ora scommettere che una incertezza almeno ce la dobbiamo tenere anche dopo la Leopolda: non abbiamo la medicina per la sindrome schizofrenica dei due Pd.

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