mercoledì 30 ottobre 2013

Il numero due

Giovanni Cocconi  
Europa 30 ottobre 2013


Il numero dueUn vero numero uno ha sempre bisogno di un numero due. Ma un vero numero due non ammetterà mai di esserlo. Graziano Delrio è quel tipo lì. L’investitura è avvenuta domenica, quando Matteo Renzi lo ha voluto accanto a sé, sul palco della Leopolda, prima di chiudere la quarta edizione. Lo ricordavamo come un tipo mite, saggio, riflessivo, quasi noioso. A Firenze Delrio ha sorpreso tutti, anche con i decibel. «La Leopolda è la nostra storia quotidiana. Voi ragazzi sarete protagonisti, noi saremo alle vostre spalle, vi proteggeremo e vi accompagneremo». E giù applausi. E ancora: «Il partito di Matteo non è il partito di un uomo solo al comando, ma con un uomo al comando rappresenta le speranze di tutti». Altri applausi, tanti, così come quando ha parlato della necessità di toccare le pensioni più alte per aiutare i più deboli.
I collaboratori del sindaco confermano che «oggi Delrio è il suo consigliere più ascoltato, la persona dell’entourage che stima di più». Lo descrivono come un fratello maggiore, un alter ego, l’altra faccia di Matteo, «il suo Gandalf» ha scritto Nomfup su Twitter. Un mese fa, Delrio era l’unico politico invitato alla festa per la Comunione del secondo figlio di Renzi, Emanuele. Giovedì scorso era a Firenze per l’ultimo summit sulla Leopolda, insieme con i fedelissimi Luca Lotti e Maria Elena Boschi.
Medico endocrinologo, ex sindaco di Reggio Emilia, 53 anni, alto, magro, faccia pulita con pizzo da spadaccino di Dumas, Delrio rappresenta oggi una figura chiave del mondo renziano. Il ruolo conquistato smentisce la principale leggenda sul rottamatore, e cioè che il sindaco si circondi solo di yes man e solo di fiorentini. Delrio non è uno yes man e non è fiorentino. «Sosterrò Renzi finché rimane com’è» spiega.
La sua è stata una conversione lunga, lenta, a suo modo tormentata: l’operazione rottamazione lo aveva spaventato. «Ma quando hai così tanti figli che in casa tifano per Renzi è difficile non essere travolti» racconta scherzando un suo amico. I figli sono nove, sei vivono ancora con i genitori, a Reggio Emilia, in una casa organizzata come una piccola azienda: a turno, tutti fanno tutto. Michele, nemmeno vent’anni, detto «Billo», ha il pallino della politica come il padre e già coordina un comitato Renzi nella città emiliana.
Il cattolicesimo di Delrio rappresenta uno dei fili che lo legano al numero uno e meriterebbe un capitolo a parte. Ex ragazzo con simpatie nell’anarchia, cresciuto in una famiglia atea e comunista con un padre muratore e poi artigiano, Delrio si è convertito al cattolicesimo attorno ai vent’anni grazie alla conoscenza di don Carlo Cocconcelli, ex prete partigiano amico di don Giuseppe Dossetti, uno dei padri costituenti. Oggi è ministro dell’eucarestia nella parrocchia guidata dal nipote di Dossetti ed è stato fondatore dell’associazione Giorgio La Pira, il “sindaco santo” di Firenze, ideale punto di riferimento di Renzi che gli ha dedicato la tesi di laurea.
Conosciuto dagli amici come «Cido», Delrio chiama Matteo «Mosè», un po’ scherzando e un po’ no, nel senso che «è quello che ci indica la strada». «Renzi può essere davvero quello che è stato Tony Blair per la Gran Bretagna – spiega – cioè il capo di una sinistra più libera, più amica della società, meno dirigista: è lui la scossa che ci serve».
In campagna elettorale, in vista di un eventuale governo Bersani, il nome di Delrio era l’unico sicuro chiesto da Renzi per un ministero. Oggi, titolare degli affari regionali, è il suo anello di collegamento con il governo Letta. Molto stimato da Giorgio Napolitano, amico di Romano Prodi, il ministro è anche il principale ponte con il mondo dei sindaci, cruciale nella strategia elettorale renziana. D’altra parte il ruolo del sindaco di Firenze fu determinante per far eleggere Delrio presidente dell’Anci, nel 2011, a Brindisi, quando Bersani e D’Alema volevano imporre il nome di Michele Emiliano.
Ma la scintilla non scoccò lì. Fu nella sede dell’Associazione dei comuni italiani, giugno 2012, che Renzi annunciò per la prima volta l’idea di correre per le primarie. Ma anche lì Delrio non si sbilanciò, non disse che era disposto ad aiutarlo. «Dobbiamo costruire una rete di persone sul territorio» spiegò poi il rottamatore al bar-ristorante in via dei Fienili, sempre a Roma, a Roberto Reggi, Angelo Rughetti, Lorenzo Guerini e, appunto, Graziano Delrio che ruppe gli indugi ancora dopo, in un incontro a Bologna.
Ma perché Delrio piace tanto a Renzi? Qui le spiegazioni si sprecano. Perché è una persona seria e solida, non un piacione. Perché è un sindaco come lui, abituato a ragionare di politica a partire dai bisogni delle persone, fuori dal ceto politico. Perché è cattolico come lui. Perché lo completa, gli offre un punto di vista complementare al suo. Perché non lo frena ma nemmeno è un tifoso, schiacciato sulle sue decisioni. Perché Delrio rappresenta quello che Matteo non è, la metà che gli manca. Perché da medico e da cattolico riserva un’attenzione tutta particolare al disagio e al sociale. Perché anche lui a Reggio Emilia ha dovuto combattere con il nocciolo duro del vecchio partitone rosso. Perché un vero numero uno ha sempre bisogno di un numero due.

Nessun commento:

Posta un commento