Un vero numero uno ha sempre bisogno di un numero due. Ma un
vero numero due non ammetterà mai di esserlo. Graziano Delrio è quel
tipo lì. L’investitura è avvenuta domenica, quando Matteo Renzi lo ha
voluto accanto a sé, sul palco della Leopolda, prima di chiudere la
quarta edizione. Lo ricordavamo come un tipo mite, saggio, riflessivo,
quasi noioso. A Firenze Delrio ha sorpreso tutti, anche con i decibel.
«La Leopolda è la nostra storia quotidiana. Voi ragazzi sarete
protagonisti, noi saremo alle vostre spalle, vi proteggeremo e vi
accompagneremo». E giù applausi. E ancora: «Il partito di Matteo non è
il partito di un uomo solo al comando, ma con un uomo al comando
rappresenta le speranze di tutti». Altri applausi, tanti, così come
quando ha parlato della necessità di toccare le pensioni più alte per
aiutare i più deboli.
I collaboratori del sindaco confermano che «oggi Delrio è il suo
consigliere più ascoltato, la persona dell’entourage che stima di più».
Lo descrivono come un fratello maggiore, un alter ego, l’altra faccia di
Matteo, «il suo Gandalf» ha scritto Nomfup su Twitter. Un mese fa,
Delrio era l’unico politico invitato alla festa per la Comunione del
secondo figlio di Renzi, Emanuele. Giovedì scorso era a Firenze per
l’ultimo summit sulla Leopolda, insieme con i fedelissimi Luca Lotti e
Maria Elena Boschi.
Medico endocrinologo, ex sindaco di Reggio Emilia, 53 anni, alto,
magro, faccia pulita con pizzo da spadaccino di Dumas, Delrio
rappresenta oggi una figura chiave del mondo renziano. Il ruolo
conquistato smentisce la principale leggenda sul rottamatore, e cioè che
il sindaco si circondi solo di yes man e solo di fiorentini. Delrio non è uno yes man e non è fiorentino. «Sosterrò Renzi finché rimane com’è» spiega.
La sua è stata una conversione lunga, lenta, a suo modo tormentata:
l’operazione rottamazione lo aveva spaventato. «Ma quando hai così tanti
figli che in casa tifano per Renzi è difficile non essere travolti»
racconta scherzando un suo amico. I figli sono nove, sei vivono ancora
con i genitori, a Reggio Emilia, in una casa organizzata come una
piccola azienda: a turno, tutti fanno tutto. Michele, nemmeno vent’anni,
detto «Billo», ha il pallino della politica come il padre e già
coordina un comitato Renzi nella città emiliana.
Il cattolicesimo di Delrio rappresenta uno dei fili che lo legano al
numero uno e meriterebbe un capitolo a parte. Ex ragazzo con simpatie
nell’anarchia, cresciuto in una famiglia atea e comunista con un padre
muratore e poi artigiano, Delrio si è convertito al cattolicesimo
attorno ai vent’anni grazie alla conoscenza di don Carlo Cocconcelli, ex
prete partigiano amico di don Giuseppe Dossetti, uno dei padri
costituenti. Oggi è ministro dell’eucarestia nella parrocchia guidata
dal nipote di Dossetti ed è stato fondatore dell’associazione Giorgio La
Pira, il “sindaco santo” di Firenze, ideale punto di riferimento di
Renzi che gli ha dedicato la tesi di laurea.
Conosciuto dagli amici come «Cido», Delrio chiama Matteo «Mosè», un
po’ scherzando e un po’ no, nel senso che «è quello che ci indica la
strada». «Renzi può essere davvero quello che è stato Tony Blair per la
Gran Bretagna – spiega – cioè il capo di una sinistra più libera, più
amica della società, meno dirigista: è lui la scossa che ci serve».
In campagna elettorale, in vista di un eventuale governo Bersani, il
nome di Delrio era l’unico sicuro chiesto da Renzi per un ministero.
Oggi, titolare degli affari regionali, è il suo anello di collegamento
con il governo Letta. Molto stimato da Giorgio Napolitano, amico di
Romano Prodi, il ministro è anche il principale ponte con il mondo dei
sindaci, cruciale nella strategia elettorale renziana. D’altra parte il
ruolo del sindaco di Firenze fu determinante per far eleggere Delrio
presidente dell’Anci, nel 2011, a Brindisi, quando Bersani e D’Alema
volevano imporre il nome di Michele Emiliano.
Ma la scintilla non scoccò lì. Fu nella sede dell’Associazione dei
comuni italiani, giugno 2012, che Renzi annunciò per la prima volta
l’idea di correre per le primarie. Ma anche lì Delrio non si sbilanciò,
non disse che era disposto ad aiutarlo. «Dobbiamo costruire una rete di
persone sul territorio» spiegò poi il rottamatore al bar-ristorante in
via dei Fienili, sempre a Roma, a Roberto Reggi, Angelo Rughetti,
Lorenzo Guerini e, appunto, Graziano Delrio che ruppe gli indugi ancora
dopo, in un incontro a Bologna.
Ma perché Delrio piace tanto a Renzi? Qui le spiegazioni si sprecano.
Perché è una persona seria e solida, non un piacione. Perché è un
sindaco come lui, abituato a ragionare di politica a partire dai bisogni
delle persone, fuori dal ceto politico. Perché è cattolico come lui.
Perché lo completa, gli offre un punto di vista complementare al suo.
Perché non lo frena ma nemmeno è un tifoso, schiacciato sulle sue
decisioni. Perché Delrio rappresenta quello che Matteo non è, la metà
che gli manca. Perché da medico e da cattolico riserva un’attenzione
tutta particolare al disagio e al sociale. Perché anche lui a Reggio
Emilia ha dovuto combattere con il nocciolo duro del vecchio partitone
rosso. Perché un vero numero uno ha sempre bisogno di un numero due.
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