Bari sembra essere un passo falso dimenticato: cambia tutto e il
segnale distintivo torna a essere quello dell'apertura all'esterno. I
simboli sono la piazza, dove nasce la politica, e la Vespa, che richiama
il boom degli anni Cinquanta
INVIATO A FIRENZE – Ci sono i tavoli, quelli già numerati per i
confronti tematici e quelli già apparecchiati per il buffet. C’è il
wi-fi, quello free e quello per gli addetti ai lavori. Ci sono i
banchi per gli accrediti, presi d’assalto già più di due ore prima
dell’apertura annunciata, e il merchandising pronto a essere
esposto. Non quello in vendita a Bari, apparso allestito in tutta fretta
da Proforma e da ripensare per il resto della campagna, ma quello
specifico della Leopolda edizione 2013. E qui il sindaco ha fatto tutto
da solo, con il braccio operativo affidato a Maria Elena Boschi. E le
distanze da Bari sono enormi, non solo geograficamente: il clima è più
“caldo”, nei colori, nell’edificio storico, negli oggetti.
Se a Bari gli organizzatori avevano perfino ostentato la presenza
delle bandiere del Pd, quello organizzato nell’ex stazione fiorentina è
ancora un evento che si sforza di apparire esplicitamente aperto a
tutti. Non ci sono loghi di partito o politici, non c’è un podio perché
ciascuno è libero di intervenire e tutti, big o nuove proposte, avranno
lo stesso tempo a disposizione, 4 minuti (l’“uno vale uno” grillino non è
poi così originale…). Tutto condensato in un logo, il microfono
radiofonico davanti a uno sgabello, che spiega tutto: rapidità, parità,
spazio a voci e contenuti. Ma all’audio si aggiungeranno anche immagini,
sia video che foto.
Sul palco, a emergere è una Vespa anni Cinquanta che, nell’ideale
renziano, vuole rappresentare gli anni migliori del nostro paese, quelli
del Dopoguerra, del boom economico, ma anche della solidarietà di un
popolo che usciva dal disastroso Ventennio fascista e si ritrovava a
stringersi in maniera solidale per ricostruire il proprio destino.
Dietro, sullo sfondo, un quadro in movimento, una finestra sul mondo: la
rappresentazione di una piazza in cui si vede gente che passeggia, le
luci dei bar, i lampioni, una chiesa. È il simbolo della vita quotidiana
non solo dei singoli individui, quanto di una comunità. Ed è da lì,
dalla piazza, dalla comunità, che nasce la politica.
In alto a sinistra campeggia lo slogan, già noto: «Diamo un nome al futuro». In esso si alternano il verde, colore della speranza, con l’arancio, della creatività. L’analisi semantica, invece, lascia trapelare la volontà di costruire un collettivo, un futuro migliore in cui identificarsi. Ed è qui, ancora una volta, che il Pd c’è, ma anche no: di quel collettivo i Democratici faranno certamente parte, ma non possono pretendere di averne l’esclusiva, soprattutto in una fase di dissoluzione delle altre forze politiche. Renzi, d’altra parte, lo ha già detto: il suo obiettivo sono i delusi, tutti i delusi, del Pd ma non solo.
In alto a sinistra campeggia lo slogan, già noto: «Diamo un nome al futuro». In esso si alternano il verde, colore della speranza, con l’arancio, della creatività. L’analisi semantica, invece, lascia trapelare la volontà di costruire un collettivo, un futuro migliore in cui identificarsi. Ed è qui, ancora una volta, che il Pd c’è, ma anche no: di quel collettivo i Democratici faranno certamente parte, ma non possono pretendere di averne l’esclusiva, soprattutto in una fase di dissoluzione delle altre forze politiche. Renzi, d’altra parte, lo ha già detto: il suo obiettivo sono i delusi, tutti i delusi, del Pd ma non solo.
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