venerdì 25 ottobre 2013

Guida alla Leopolda 2013. Dove il Pd torna a diluirsi in un “nuovo collettivo”

Rudy Francesco Calvo 
Europa  

Bari sembra essere un passo falso dimenticato: cambia tutto e il segnale distintivo torna a essere quello dell'apertura all'esterno. I simboli sono la piazza, dove nasce la politica, e la Vespa, che richiama il boom degli anni Cinquanta
INVIATO A FIRENZE – Ci sono i tavoli, quelli già numerati per i confronti tematici e quelli già apparecchiati per il buffet. C’è il wi-fi, quello free e quello per gli addetti ai lavori. Ci sono i banchi per gli accrediti, presi d’assalto già più di due ore prima dell’apertura annunciata, e il merchandising pronto a essere esposto. Non quello in vendita a Bari, apparso allestito in tutta fretta da Proforma e da ripensare per il resto della campagna, ma quello specifico della Leopolda edizione 2013. E qui il sindaco ha fatto tutto da solo, con il braccio operativo affidato a Maria Elena Boschi. E le distanze da Bari sono enormi, non solo geograficamente: il clima è più “caldo”, nei colori, nell’edificio storico, negli oggetti.
Se a Bari gli organizzatori avevano perfino ostentato la presenza delle bandiere del Pd, quello organizzato nell’ex stazione fiorentina è ancora un evento che si sforza di apparire esplicitamente aperto a tutti. Non ci sono loghi di partito o politici, non c’è un podio perché ciascuno è libero di intervenire e tutti, big o nuove proposte, avranno lo stesso tempo a disposizione, 4 minuti (l’“uno vale uno” grillino non è poi così originale…). Tutto condensato in un logo, il microfono radiofonico davanti a uno sgabello, che spiega tutto: rapidità, parità, spazio a voci e contenuti. Ma all’audio si aggiungeranno anche immagini, sia video che foto.
Sul palco, a emergere è una Vespa anni Cinquanta che, nell’ideale renziano, vuole rappresentare gli anni migliori del nostro paese, quelli del Dopoguerra, del boom economico, ma anche della solidarietà di un popolo che usciva dal disastroso Ventennio fascista e si ritrovava a stringersi in maniera solidale per ricostruire il proprio destino. Dietro, sullo sfondo, un quadro in movimento, una finestra sul mondo: la rappresentazione di una piazza in cui si vede gente che passeggia, le luci dei bar, i lampioni, una chiesa. È il simbolo della vita quotidiana non solo dei singoli individui, quanto di una comunità. Ed è da lì, dalla piazza, dalla comunità, che nasce la politica.
In alto a sinistra campeggia lo slogan, già noto: «Diamo un nome al futuro». In esso si alternano il verde, colore della speranza, con l’arancio, della creatività. L’analisi semantica, invece, lascia trapelare la volontà di costruire un collettivo, un futuro migliore in cui identificarsi. Ed è qui, ancora una volta, che il Pd c’è, ma anche no: di quel collettivo i Democratici faranno certamente parte, ma non possono pretendere di averne l’esclusiva, soprattutto in una fase di dissoluzione delle altre forze politiche. Renzi, d’altra parte, lo ha già detto: il suo obiettivo sono i delusi, tutti i delusi, del Pd ma non solo.

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