venerdì 11 ottobre 2013

Condannati all’ultima spiaggia

La Stampa 11 ottobre 2013

Condannati all’ultima spiaggia. Condannati ancora una volta a una soluzione di emergenza, a una parziale ma comunque dolorosa nazionalizzazione di Alitalia, dopo la pessima prova di quegli azionisti privati che nel 2008 entrarono nel capitale dopo aver lasciato i debiti della compagnia sulle spalle dei contribuenti. 

E’ perfino superfluo gridare all’ovvio scandalo per l’ingresso delle Poste in Alitalia.  

Certo, si tratta di un’accoppiata che richiama l’esatto contrario di un campione nazionale. Ma la cifra più evidente delle vicende di queste ore è l’affannoso arrocco del sistema Italia, in cerca di capitali che nessuno più pare disposto a mettere; nella compagnia aerea così come è avvenuto per la Telecom. L’intervento appena annunciato è tutt’altro che risolutivo e a Palazzo Chigi ne sono ben consci nonostante la «soddisfazione» espressa ieri sera. Ma senza l’unica e criticabilissima operazione che in tutta fretta si è riusciti a mettere in piedi, Alitalia domani mattina avrebbe bloccato i suoi voli e si sarebbe avviata al fallimento. Il governo ha ritenuto che la compagnia sia «un asset strategico per il Paese» e che da questa posizione la trattativa con Air France-Klm sarebbe stata un massacro. Così ha cercato di «comprare» sei mesi di tempo - tanto vale l’operazione annunciata - ben cosciente che la destinazione finale di Alitalia sarà sempre e comunque quell’alleanza internazionale. Forse, questa è la speranza, in una posizione un po’ più forte di quella pre-fallimentare in cui è oggi.  

Condannati all’ultima spiaggia, comunque, perché i soci privati che nel 2008 risposero alle richieste di Silvio Berlusconi, con l’attivo sostegno di Intesa-Sanpaolo - tra di loro Colaninno, i Benetton, la stessa Intesa-Sanpaolo, Marcegaglia che all’epoca guidavano una Confindustria filogovernativa, nomi ormai crollati come quello dei Ligresti - non ce l’hanno fatta e hanno perso quasi un miliardo dalla privatizzazione del 2008.  
Questo nonostante all’epoca avessero scaricato sulla comunità i costi miliardari di una «bad company» dove era finito il debito di Alitalia. Adesso il ritorno allo Stato padrone, o quantomeno azionista di riferimento non avviene a cuor leggero. Palazzo Chigi cita nel suo comunicato, come è ovvio, la «discontinuità» e «una importante ristrutturazione» della compagnia. Ma è legittimo chiedersi perché dovrebbero farla con successo i soci attuali, che finora non ci sono riusciti. E significativo è anche che il governo senta il bisogno di ricordare loro che dovranno «assumersi appieno le loro responsabilità», cosa che evidentemente finora non è avvenuta.  
 
Soci privati e governo dovranno però fare molta attenzione. I salvataggi, questo in particolare, non sono gratis. I 75 milioni con cui le Poste si impegnano non sono una cifra enorme nei loro attivi totali, ma è ovvio che con i depositi postali - che in buona parte si identificano con il risparmio della parte meno ricca e meno istruita del Paese - è vietato correre qualsiasi rischio eccessivo. In primo luogo quello di mettere soldi in una compagnia aerea decotta e appesantita dai debiti, senza una valida strategia industriale e dove i soci pensano che se dovessero fallire ci sarà ancora un’altra chance.

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