venerdì 5 luglio 2013

Una follia leader e premier che si fanno la guerra

Franco Monaco 
Europa 

A proposito della discussione relativa alle regole statutarie e al processo congressuale
Ho già avuto modo di esprimere il mio punto di vista sulla discussione relativa alle regole statutarie e al processo congressuale del Pd. Ci torno sopra, non senza una premessa: non sostengo Renzi, ho più di una riserva sul suo posizionamento politico (in verità, allo stato, affidato soprattutto a slogan ancorché efficaci), sulla sua caratura e sul suo eccesso di ambizione e di disinvoltura; ma non mi piace il comportamento dei suoi detrattori interni che ipocritamente minimizzano la portata delle regole congressuali (con il mantra del “discutiamo di contenuti”) e negano l’evidenza, cioè il proposito di cambiare tali regole per contrastarne l’ascesa.
Le questioni, come è noto, sono tre: il cosiddetto congresso che muova dal basso (traduzione: discussione su tesi e non su piattaforme politiche nazionali associate ai candidati in corsa per la segreteria nazionale, che verrebbero dopo, a valle della elezione degli organi di partito a tutti i livelli, dai circoli locali a quelli provinciali sino a quelli regionali); il perimetro dell’elettorato attivo del leader nazionale (elezione diretta da parte dei soli iscritti o anche di elettori e simpatizzanti); coincidenza o dissociazione tra figura del leader Pd e figura del candidato premier.
Sul primo punto, ho una opinione precisa: sono per un confronto politico aperto da subito e a tutti i livelli su mozioni e candidati alla segreteria nazionale. Sia perché la cosiddetta identità del Pd si forgia dialetticamente dentro e attraverso il confronto, non a monte di esso, secondo una visione organicista e paternalista. Sia perché il male del Pd non è, come usa dire, il correntismo ma piuttosto la confederazione delle cordate personali ed esse si contrastano semmai portando in superficie posizioni politiche degne di questo nome.
È curioso che, dal fronte che invoca il cosiddetto congresso dal basso e contesta un’assise competitiva su mozioni politiche nazionali da subito, sortiscano più candidature tra le quali è francamente difficile scorgere differenze di natura politica. Ma c’è, per me, una ragione decisiva: chi gira per i circoli del Pd è ben consapevole della gran voglia di discutere di politica, intesa come politica nazionale (la missione del Pd e la visione dell’Italia), e anche di domandare conto di taluni passaggi politici tutt’altro che pacifici e condivisi: le ragioni di una vittoria elettorale mutilata risoltasi in una sconfitta politica, il flop del Quirinale (è ancora aperta la ferita dei 101 che hanno affossato Prodi), il governo delle larghe intese, lo slittamento verso una grande riforma costituzionale che fa problema per metodo e merito. Ma come si può pensare di sottrarre ai circoli il diritto di confrontarsi su questo per limitarsi a ragionare di questioni locali? Come se non fosse successo nulla. Sarebbe francamente eccentrico e offensivo.
Sul secondo punto me la cavo presto. In un tempo come questo, di profondo malessere verso la politica, per i cittadini in genere e per il popolo del Pd in ispecie, è mai possibile trasmettere all’esterno il messaggio di una restrizione del perimetro della partecipazione? Di più: possiamo esporci all’insidia di una corsa alle iscrizioni… a mazzo per partecipare all’elezione del segretario, iscrizioni sulla cui genuinità sarebbe lecito nutrire dubbi?
Infine, la “madre” delle questioni statutarie, il nesso tra leadership e premiership. Come ho già avuto modo di notare, l’argomento convenzionale secondo il quale il Pd già dispone di un suo premier mi pare debolissimo. Sia perché una questione statutaria di tale rilievo non può essere dettata dalla contingenza. Sia perché Letta è alla testa di un governo speciale, figlio di uno stato di eccezione. Non di un governo di centrosinistra il cui premier abbia seguito il percorso politico contemplato dal nostro statuto e soprattutto dal progetto del Pd. Né mi convince lo schema dualistico di un leader Pd di sinistra e di un candidato premier (Renzi) con un profilo più centrista. Uno schema foriero di tensioni e di instabilità.
Esemplifico: un pd candidato premier che celebra il blairismo e un segretario che lo bolla come anacronistico o addirittura come un deragliamento. È una disputa che va sciolta dentro il congresso. Poi vinca chi vince e gli sconfitti faranno la minoranza interna. Altrimenti di che si discute? Si può sostenere l’esatto contrario della tesi corrente: la coincidenza delle due figure dà autorevolezza e forza anche al partito. Alle obiezioni mosse da D’Alema sul punto è facile rispondere in due modi. Primo: per lungo tempo fu proprio D’Alema (al tempo delle tensioni con Prodi, premier privo di un suo partito) a sostenere la naturale coincidenza, nelle democrazie europee, tra leader del partito di maggioranza (allora D’Alema) e candidato premier. Secondo: il precedente che riguarda l’eccezione fatta per Renzi fu decisamente diverso. Fu il segretario in carica Bersani a chiedere al partito, neppure di derogare, ma di sospendere una tantum, la norma che contemplava l’esclusione, dalle primarie di coalizione del centrosinistra, di altri candidati di estrazione Pd. Basterebbe chiedere a Renzi che, nel caso, si impegnasse a fare altrettanto se e quando si porrà il problema. Che è cosa affatto diversa dalla sbrigativa, secca correzione della norma statutaria vigente.
Su tutto, poi, fa premio una questione pregiudiziale. Quella della dubbia legittimazione degli attuali organi nazionali (assemblea e direzione), che datano quattro anni orsono, a operare revisioni statutarie di tale portata a ridosso della competizione congressuale. Specie in assenza di un largo consenso interno.
Con una ulteriore controindicazione: essendo i promotori di quella riforma statutaria sostanzialmente quelli che portano la responsabilità, di sua natura collettiva, di una palese sconfitta politica. Ha ragione chi sostiene che tale idea altra di partito, di leadership e di premiership, di rapporto tra iscritti ed elettori, va rimessa esattamente a una riflessione da sviluppare dentro il congresso rinviando tuttavia le eventuali, conseguenti novità statutarie a valle di esso.

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