A proposito della discussione relativa alle regole statutarie e al processo congressuale
Ho già avuto modo di esprimere il mio punto di vista sulla
discussione relativa alle regole statutarie e al processo congressuale
del Pd. Ci torno sopra, non senza una premessa: non sostengo Renzi, ho
più di una riserva sul suo posizionamento politico (in verità, allo
stato, affidato soprattutto a slogan ancorché efficaci), sulla sua
caratura e sul suo eccesso di ambizione e di disinvoltura; ma non mi
piace il comportamento dei suoi detrattori interni che ipocritamente
minimizzano la portata delle regole congressuali (con il mantra del
“discutiamo di contenuti”) e negano l’evidenza, cioè il proposito di
cambiare tali regole per contrastarne l’ascesa.
Le questioni, come è noto, sono tre: il cosiddetto congresso che
muova dal basso (traduzione: discussione su tesi e non su piattaforme
politiche nazionali associate ai candidati in corsa per la segreteria
nazionale, che verrebbero dopo, a valle della elezione degli organi di
partito a tutti i livelli, dai circoli locali a quelli provinciali sino a
quelli regionali); il perimetro dell’elettorato attivo del leader
nazionale (elezione diretta da parte dei soli iscritti o anche di
elettori e simpatizzanti); coincidenza o dissociazione tra figura del
leader Pd e figura del candidato premier.
Sul primo punto, ho una opinione precisa: sono per un confronto
politico aperto da subito e a tutti i livelli su mozioni e candidati
alla segreteria nazionale. Sia perché la cosiddetta identità del Pd si
forgia dialetticamente dentro e attraverso il confronto, non a monte di
esso, secondo una visione organicista e paternalista. Sia perché il male
del Pd non è, come usa dire, il correntismo ma piuttosto la
confederazione delle cordate personali ed esse si contrastano semmai
portando in superficie posizioni politiche degne di questo nome.
È curioso che, dal fronte che invoca il cosiddetto congresso dal
basso e contesta un’assise competitiva su mozioni politiche nazionali da
subito, sortiscano più candidature tra le quali è francamente difficile
scorgere differenze di natura politica. Ma c’è, per me, una ragione
decisiva: chi gira per i circoli del Pd è ben consapevole della gran
voglia di discutere di politica, intesa come politica nazionale (la
missione del Pd e la visione dell’Italia), e anche di domandare conto di
taluni passaggi politici tutt’altro che pacifici e condivisi: le
ragioni di una vittoria elettorale mutilata risoltasi in una sconfitta
politica, il flop del Quirinale (è ancora aperta la ferita dei 101 che
hanno affossato Prodi), il governo delle larghe intese, lo slittamento
verso una grande riforma costituzionale che fa problema per metodo e
merito. Ma come si può pensare di sottrarre ai circoli il diritto di
confrontarsi su questo per limitarsi a ragionare di questioni locali?
Come se non fosse successo nulla. Sarebbe francamente eccentrico e
offensivo.
Sul secondo punto me la cavo presto. In un tempo come questo, di
profondo malessere verso la politica, per i cittadini in genere e per il
popolo del Pd in ispecie, è mai possibile trasmettere all’esterno il
messaggio di una restrizione del perimetro della partecipazione? Di più:
possiamo esporci all’insidia di una corsa alle iscrizioni… a mazzo per
partecipare all’elezione del segretario, iscrizioni sulla cui genuinità
sarebbe lecito nutrire dubbi?
Infine, la “madre” delle questioni statutarie, il nesso tra
leadership e premiership. Come ho già avuto modo di notare, l’argomento
convenzionale secondo il quale il Pd già dispone di un suo premier mi
pare debolissimo. Sia perché una questione statutaria di tale rilievo
non può essere dettata dalla contingenza. Sia perché Letta è alla testa
di un governo speciale, figlio di uno stato di eccezione. Non di un
governo di centrosinistra il cui premier abbia seguito il percorso
politico contemplato dal nostro statuto e soprattutto dal progetto del
Pd. Né mi convince lo schema dualistico di un leader Pd di sinistra e di
un candidato premier (Renzi) con un profilo più centrista. Uno schema
foriero di tensioni e di instabilità.
Esemplifico: un pd candidato premier che celebra il blairismo e un
segretario che lo bolla come anacronistico o addirittura come un
deragliamento. È una disputa che va sciolta dentro il congresso. Poi
vinca chi vince e gli sconfitti faranno la minoranza interna. Altrimenti
di che si discute? Si può sostenere l’esatto contrario della tesi
corrente: la coincidenza delle due figure dà autorevolezza e forza anche
al partito. Alle obiezioni mosse da D’Alema sul punto è facile
rispondere in due modi. Primo: per lungo tempo fu proprio D’Alema (al
tempo delle tensioni con Prodi, premier privo di un suo partito) a
sostenere la naturale coincidenza, nelle democrazie europee, tra leader
del partito di maggioranza (allora D’Alema) e candidato premier.
Secondo: il precedente che riguarda l’eccezione fatta per Renzi fu
decisamente diverso. Fu il segretario in carica Bersani a chiedere al
partito, neppure di derogare, ma di sospendere una tantum, la norma che
contemplava l’esclusione, dalle primarie di coalizione del
centrosinistra, di altri candidati di estrazione Pd. Basterebbe chiedere
a Renzi che, nel caso, si impegnasse a fare altrettanto se e quando si
porrà il problema. Che è cosa affatto diversa dalla sbrigativa, secca
correzione della norma statutaria vigente.
Su tutto, poi, fa premio una questione pregiudiziale. Quella della
dubbia legittimazione degli attuali organi nazionali (assemblea e
direzione), che datano quattro anni orsono, a operare revisioni
statutarie di tale portata a ridosso della competizione congressuale.
Specie in assenza di un largo consenso interno.
Con una ulteriore controindicazione: essendo i promotori di quella
riforma statutaria sostanzialmente quelli che portano la responsabilità,
di sua natura collettiva, di una palese sconfitta politica. Ha ragione
chi sostiene che tale idea altra di partito, di leadership e di
premiership, di rapporto tra iscritti ed elettori, va rimessa
esattamente a una riflessione da sviluppare dentro il congresso
rinviando tuttavia le eventuali, conseguenti novità statutarie a valle
di esso.
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