Renzi non è il problema, è il segnale. Critiche al governo se ne
sentono in tutto il Pd e il premier sbaglierebbe se cercasse di fermare
il processo politico interno
Le tifoserie si scaldano, la reciproca ostilità è evidente. Ma
si finirebbe fuori strada se si pensasse che davvero la durata e la
stabilità del governo Letta dipendano dal confronto con Matteo Renzi. E
chi non deve compiere l’errore è innanzi tutto il presidente del
consiglio, impegnato in una missione troppo importante e difficile per
potersi concedere abbagli.
Il messaggio di Letta da Ottawa è chiaro. Mettendosi nella scia delle elezioni tedesche, il premier chiama la Grosse Koalition italiana a confermare un patto che duri per tutto il 2014, nell’arco di validità della legge di stabilità.
Nelle stesse ore Napolitano torna a mettere in guardia contro il pericolo di strappi.
Il capo dello stato e il capo del governo hanno ogni ragione dalla
propria. Ma quali sono le condizioni perché si realizzi ciò che appare
tanto difficile, cioè una conferma del quadro di maggioranza nonostante
le ansie di Berlusconi, le fibrillazioni di partito e le pressioni sul
governo che hanno spinto Saccomanni alla sua denuncia?
Com’è s’è visto all’assemblea Pd, non è solo Renzi a esprimersi
criticamente col governo. Casomai il sindaco è, al solito, lesto e agile
a cogliere e a interpretare un umore diffuso che era presente perfino
nella relazione di Epifani. Con qualcosa di più denso delle battute
renziane: il richiamo a quella nefasta “seconda fase” del governo Monti
alla quale tanti democratici (Bersani in primis) attribuiscono l’origine d’ogni male, quando Berlusconi staccò la spina ai tecnici e il Pd rimase con le dita nella presa.
Stefano Fassina all’Auditorium ha fatto bene a richiamare al dovere
della solidarietà verso chi nel governo si consuma in mediazioni
quotidiane. Non sono gli appelli però a risolvere certi nodi.
Forse a palazzo Chigi devono accettare l’idea che il Pd non possa che
schierarsi in formazione speculare a quella del Pdl. Dotarsi di una
leadership già competitiva in prospettiva elettorale. Svoltare,
soprattutto come gruppo dirigente, rispetto a una stagione fallimentare
di cui del resto il governo è l’esito. Una svolta che non ha solo il
nome di Renzi ma anche di Cuperlo e Civati, e di gruppi ampi e rinnovati
intorno a loro.
Agevolare questo processo, non tentare di frenarlo col rischio di
farsene a quel punto davvero travolgere, portare tutti sul terreno del
realismo e della pazienza verso il governo: questa, non altre, è
l’abilità che ora si richiede all’abilissimo Enrico Letta.
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