giovedì 26 settembre 2013

Salvate il soldato Cuperlo

di Marco Damilano

L'Espresso 23 settembre 2013 

Un uomo colto, per bene e riluttante. Che l'establishment del Pd vuole usare per fermare Renzi. Destinandolo a una sconfitta quasi certa e a un ruolo che gli sta stretto: salvare qualche poltrona per i vecchi dirigenti


Ricorda il film "Amadeus"? Lì Mozart è un giocherellone, talento puro, ma al fondo poco interessante. Io mi sono sempre identificato nel rivale, in Antonio Salieri...». E non si capisce se voglia essere un riconoscimento per l'avversario Matteo Renzi o un sottile avvertimento (nella pellicola di Milos Forman del 1984 Salieri avvelena Mozart), ma anche in questa singolare ammissione, «sì, mi affascina Salieri con i suoi tormenti, la sua impossibilità di essere il numero uno», Gianni Cuperlo si conferma un politico atipico. Autoironico: ha chiamato per complimentarsi Davide Astolfi, l'autore del suo falso profilo twitter Kuperlo che conta quasi più followers dell'originale («Compagni, non vi nascondo la mia ansia da prestazione. Ho il terrore di essere il primo che fa perdere il congresso a D'Alema»). Con una sobria considerazione di sé: «Nessuno mi ritiene la reincarnazione di Machiavelli, neppure io».
Quasi stupito di trovarsi in gara per la segreteria: « E' un posto a tempo determinato». Uno che gira in Vespa e che in treno legge Maurizio De Giovanni e Nick Hornby. E che nei talk-show rifiuta lo scontro verbale. Non buca il video, infatti, e nei bar lo scambiano per Pippo Civati: «Una delle cose peggiori della Seconda Repubblica è il pauperismo del linguaggio. Leader mediocri che incendiano il bosco con le loro parole». Ogni riferimento alle battute renziane sul Berlusconi da asfaltare non sembra casuale. Forse uno snob. Di certo un anti-leader.

Al triestino Cuperlo, 52 anni, laurea al Dams di Bologna con tesi sulle comunicazioni di massa, sposato con una ex compagna della Fgci, una figlia ventenne che studia a Firenze, tocca un destino bizzarro. A 28 anni, da segretario della Federazione giovanile comunista, si trovava a Berlino Est il 4 novembre 1989, cinque giorni prima della caduta del Muro, nell'Alexanderplatz: «Fui tra gli ultimi a dover mostrare il passaporto per andare a Est». E a lui spettò il doloroso compito di sciogliere l'organizzazione giovanile del Pci che era stata di Berlinguer, Occhetto, D'Alema.

Oggi nel Pd vacilla un altro muro, la tradizione originata dal Pci e transitata per il Pds, i Ds, il Pd, i simboli che sulla copertina del suo libro "Basta zercar" finiscono in uno scatolone, perché, spiega Cuperlo, «la mia generazione è quella dei traslochi, decisi quasi sempre dagli altri». E l'ultimo segretario dei giovani comunisti rischia di essere l'ultimo candidato segreterio del Pd che ha avuto in tasca la tessera del Pci. Con scarsissime possibilità di vittoria. Il gentile, raffinato Cuperlo, assiste allo spettacolo delle folle che nell'Emilia rossa acclamano Renzi, insieme a due ex segretari, Piero Fassino e Walter Veltroni. Solo lui sembra resistere al Ciclone, superstite di una radice che dopo la sconfitta di Pier Luigi Bersani alle elezioni di febbraio sembra ridotta come l'Oak Street, la via della Quercia, di una pagina dell'amato scrittore texano Joe Lansdale: «Gli alberi sembravano ben curati, ma via via che ci si inoltrava le querce erano tutte contorte, e parecchie malate, con protuberanze annerite». E' Cuperlo che deve salvare le querce post-comuniste dall'estinzione.

«Mi rendo conto della difficoltà. Ma se non mi fossi impegnato la mia discrezione si sarebbe trasformata in un atto di diserzione, in una fuga dalle responsabilità», spiega. Non una scelta personale: a spingerlo sono stati Massimo D'Alema, i suoi coetanei spaventati dalle truppe di occupazione renziane, e da ultimo Bersani. Eppure Cuperlo è stato un leader, prima di tanti altri. Segretario della Fgci nel 1988, «la voce spoglia da ogni tono enfatico e ingentilita da una latitanza di erre», lo presenta "L'Unità", prima intervista con Fabrizio Rondolino, i due si ritroveranno dieci anni dopo a Palazzo Chigi nello staff di D'Alema insieme a Claudio Velardi. «Il primo anno pensai che dirigere la Fgci fosse un regalo magnifico: mi capitò di incontrare Nelson Mandela e Alexander Dubcek a Praga. Dopo l'89, invece, la tensione divenne insopportabile».

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