L’assemblea non ha rinviato niente, anzi i tempi sono molto stretti
E che cambiare unilateralmente le regole quando la partita
doveva essere già iniziata, non sarebbe stato solo profondamente
scorretto, ma anche impraticabile, per una banale questione di numeri.
Come ad agosto, per piccoli calcoli di breve termine, si è invece
proposto di modificare uno degli articoli fondamentali dello statuto –
il terzo – in cui è depositata una parte dell’identità del Pd,
nonostante che la questione della non unicità della candidatura del segretario a premier fosse ampiamente risolta da un’altra modifica statutaria, all’articolo 18, su cui c’era un accordo unanime.
nonostante che la questione della non unicità della candidatura del segretario a premier fosse ampiamente risolta da un’altra modifica statutaria, all’articolo 18, su cui c’era un accordo unanime.
Al momento della conta sulla richiesta di votare separatamente
l’articolo 3 rispetto alle altre modifiche statutarie, si è capito che i
calcoli fatti dai timonieri allo sbando erano completamente sbagliati.
Una buona metà dei delegati presenti (non una piccola minoranza) ha
votato a favore, cioè contro l’indicazione ribadita quattro volte dalla
presidenza per un voto in blocco di tutto il pacchetto. A quel punto
l’assemblea è stata sospesa e dopo un paio d’ore dichiarata conclusa.
Ma l’assemblea non è stata affatto inutile. In primo luogo perché quella di non modificare
lo Statuto è una decisione di rilievo pari a quella di modificarlo. In secondo luogo perché un’altra decisione cruciale è stata presa in modo irrevocabile.
lo Statuto è una decisione di rilievo pari a quella di modificarlo. In secondo luogo perché un’altra decisione cruciale è stata presa in modo irrevocabile.
L’elezione del nuovo segretario è stata formalmente convocata,
fissando la data finale dell’8 dicembre, insieme, dalla presidenza
dell’Assemblea e dal segretario pro tempore, e ribadita anche dopo la
mancata approvazione delle modifiche statutarie.
Ultimo, ma non meno importante, il confronto è iniziato, con gli
interventi dei candidati, in maniera davvero promettente. Cuperlo, Renzi
e Civati hanno tre profili diversi, ma rappresentano anime vere e vive
del Pd. Parlano ciascuno un linguaggio di cui non possiamo fare a meno.
Si parlano e dovrebbero farlo ancora più spesso. A giudicare da quello
che hanno detto, ci aiuteranno a svolgere
un congresso fecondo, serio, civile.
un congresso fecondo, serio, civile.
Forse anche a lasciare alle nostre spalle vecchi rancori, a far
cadere qualche ramo secco, a liberarci di rampicanti parassiti che hanno
soffocato la pianta. L’unico rischio è che la «sindrome» si riproponga
nella direzione nazionale. Magari sull’onda di balle spaziali che alcuni
giornali, non si sa perché, assecondano e di cui si sono fatti
convincere, non si sa perché, anche alcuni sinceri sostenitori del
cambiamento. L’assemblea non ha rinviato un bel niente.
Quello che si doveva decidere è stato deciso. Se ci sono
contraddizioni tra gli “indirizzi” approvati e lo statuto vigente, è
ovvio che dovrà prevalere il secondo.
Ma la balla più colossale riguarda i tempi. Nel 2009, trascorsero 25
giorni tra la conclusione delle assemblee di circolo e il voto finale,
le cosiddette primarie. Un periodo che potrebbe essere accorciato perché
allora c’erano di mezzo anche i congressi regionali che quest’anno si
terranno tra gennaio e marzo. Se anche si mantenesse la stessa distanza,
le assemblee di circolo dovrebbero concludersi entro il 13 novembre.
Una data del tutto congruente con il termine dell’11 ottobre già
fissato dall’Assemblea, per la presentazione delle candidature. Tanto
più se si considera che le candidature sono note e in campo già
dall’estate.
Semmai i tempi sono insostenibilmente stretti per i congressi
provinciali, che fatti nel solo mese di ottobre non favorirebbero
affatto la costruzione “dal basso” di una visione condivisa, quanto una
concitata competizione, priva di senso politico, per mantenere il
controllo sulla macchina.
Inoltre, per l’ispirazione federalista dello statuto, a suo tempo
fortemente voluta e poi rivendicata soprattutto dai post-diessini
emiliani, gli organi dirigenti nazionali non avrebbero titolo per
interrompere il mandato di organi territoriali che scadono nel 2014. In
base alla stessa ispirazione federalista (articolo 15), l’elezione degli
organi provinciali si dovrebbe svolgere contestualmente a quella degli
organi regionali. Sarebbe la scelta migliore, che come minimo va
lasciata come opzione alla spesso sbandierata “autonomia dei territori”.
Al termine di un confronto leale sulla linea politica, come quello
svolto da Cuperlo, Civati e Renzi nella parte migliore dell’assemblea
nazionale dell’altroieri, si potrebbero trovare nuove e inedite
convergenze, anche in ambito locale. E cominciare a ricostruire il Pd,
dal basso, sperando che la sindrome dell’arroccamento non produca nel
frattempo troppe altre macerie.
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