Riflessioni di Anselmo Palini
da Città e Dintorni
da Città e Dintorni
A Exa
2013, “Mostra internazionale di armi sportive, security e outdoor”,
che si è svolta presso la Fiera di Brescia nel mese di aprile, è
stata presente con un proprio stand anche una scuola, precisamente
l’Istituto di Istruzione Superiore “C. Beretta” di Gardone
V.T.. Tale presenza offre lo spunto per alcune riflessioni riferite
in specifico all’opportunità che una scuola partecipi ad una
mostra di armi e più in generale al fatto che in tale fiera siano
esposte non solo armi sportive e da caccia, ma anche armi leggere,
ossia materiale bellico.
Armi, non pentole
Diverse aziende hanno
esposto ad Exa 2013 armi leggere. Per stare alla “Beretta Holding
spa” - una multinazionale che nel bilancio 2012 ha dichiarato di
avere 2600 dipendenti per un fatturato netto di 566 milioni di euro -
il comparto ordine pubblico e difesa incideva sul giro d’affari
totale del bilancio 2012 per il 16%.
Produrre armi non è
come produrre pentole: le armi sono costruite perché sparino, cioè
per essere usate contro qualcuno. Le pentole normalmente non sono
fatte per essere rotte in testa a qualcuno. Il problema che qui si
vuole porre non riguarda il settore delle armi sportive, da caccia,
da tiro o quello delle repliche di armi antiche, ma esclusivamente il
settore delle armi leggere: pistole, fucili mitragliatori,
mitragliatrici, cioè il settore della produzione bellica. Perché ad
Exa anche tali armi continuano ad essere esposte? Non è forse giunto
il momento di rendere Exa una mostra basata esclusivamente sul
settore sportivo, da caccia e sulle repliche di armi antiche?
Scriveva Mazzolari
nel 1955:
“Le armi si
fabbricano per spararle (a un certo momento, diceva Napoleone, i
fucili sparano da sé). L’arte della guerra si insegna per
uccidere. Se vuoi la pace, prepara la pace: se vuoi la guerra,
prepara la guerra. È dunque tutto fatalmente logico”
(da “Tu non uccidere”, prima edizione 1955, p. 99).
Certo, qualcuno la
pensa diversamente, come il ministro della difesa Mario Mauro il
quale, nel mese di luglio 2013, in occasione del dibattito sugli F35
ha detto testualmente: “Per amare la pace bisogna armare la pace”.
Sarebbe interessante capire come Mario Mauro, che si è sempre fatto
paladino della dottrina sociale della Chiesa, riesca a coniugare con
tale dottrina la sua posizione di Ministro della Difesa e il suo
sostegno all’acquisto di F35.
Sulla stessa linea, a
livello locale, anche l’ex vice sindaco di Brescia, Fabio Rolfi,
della Lega Nord, il quale, proprio in occasione dell’inaugurazione
di Exa 2013, a cui ha partecipato anche l’Istituto Beretta di
Gardone V.T., nel lamentare l’assenza dell’allora candidato
sindaco Emilio Del Bono alla cerimonia, ha detto:
“Non sono
lontani i tempi della giunta Corsini durante la quale il Consiglio
Comunale era impegnato in noiose e lunghe discussioni, volute dalla
sinistra radicale e da buona parte dei DS oggi PD, su come limitare
l’accesso a Exa per famiglie e bambini”.
Continuava poi Rolfi: “Come potrà, nella
disgraziata eventualità in cui Del Bono vincesse le elezioni, Exa
continuare a svolgersi nella nostra città?”
(In merito a queste affermazioni di Rolfi si vedano i quotidiani
locali del 13-14 aprile 2013) .
Fortunatamente quella
“disgraziata eventualità” si è realizzata: Emilio Del Bono è
diventato sindaco e Fabio Rolfi ha tolto il disturbo dalla Giunta
comunale di Brescia. E forse ora il Consiglio Comunale di Brescia
potrà ritornare a riflettere sui limiti da porre a famiglie e minori
per la visita a una fiera come Exa. E potrà chiedere agli Enti che
organizzano Exa di escludere le armi leggere, qualificando
l’esposizione come mostra di armi sportive, da caccia e di repliche
di armi antiche.
Armi leggere
italiane, e bresciane, usate in contesti di guerra e nelle attività
di repressione
Fino agli anni
Settanta-Ottanta del secolo scorso le armi leggere italiane sono
state usate in tutti i contesti di guerra e nelle attività di
repressione attuate dai regimi dittatoriali, come in Brasile, in
Argentina, in Cile, in Perù e in Sudafrica ai tempi dell’apartheid.
Il 17 marzo 1983, nel
corso del dibattito parlamentare sulla produzione e la vendita di
armi leggere italiane, nel suo intervento il sen. Raniero La Valle,
riferendosi all’assassinio di Marianella Garcìa Villas, presidente
della Commissione per i diritti umani in Salvador e collaboratrice di
mons. Romero, avvenuto pochi giorni prima, nel chiedere un
ripensamento della politica italiana in materia di armamenti,
domandava:
«Contro chi sono
rivolte le armi che vengono fornite ai regimi dittatoriali
dell’America centrale se non contro gli indigeni, i contadini, gli
intellettuali? Quelle armi sono state usate in Salvador domenica
scorsa per uccidere Marianella Garcìa Villas. La voglio ricordare
tanto più perché non era una guerrigliera, non era una “radicale
palestinese”, non era una “sorella mussulmana”, non era una
“negra sudafricana”, non era nessuno di quelli che alla nostra
cultura esclusivista sembrano persone tanto singolari e lontane,
sembrano strani personaggi che, chissà perché, pretendono qualcosa
che noi non possiamo dargli, quasi fossero degli ET che turbano i
nostri sogni atlantici e infantili. Marianella non era una straniera,
era una di noi. Aveva padre spagnolo, aveva studiato in un collegio
di suore in Spagna, era avvocato, aveva lavorato, codici alla mano,
per strappare la gente alle prigioni, aveva militato nella Democrazia
Cristiana, aveva collaborato con il vescovo Oscar Romero, aveva
esercitato con i poveri, i feriti, gli scomparsi, i torturati ed i
morti – le sette opere di misericordia corporale – ed infine
aveva fondato un’istituzione i cui fini sono al culmine e al centro
di tutti i nostri discorsi sulla civiltà e la democrazia ed anche
sulla difesa del nostro sistema. Aveva fondato e presiedeva la
Commissione per i diritti umani. Ebbene, l’hanno ammazzata
selvaggiamente con le nostre armi, con le armi che servono alla
difesa della civiltà occidentale e con il viatico del nostro
maggiore alleato. E non solo uccisa, torturata, e con le braccia e le
gambe spezzate» (Dal resoconto stenografico
della seduta pomeridiana del 17 marzo 1983 al Senato della
Repubblica) .
Il sindacato e la
riconversione dell’industria bellica
L’uso di armi
italiane da parte di feroci dittature militari o comunque in contesti
di guerra pose problemi di natura etica anche a livello sindacale ed
infatti tra gli anni Ottanta e Novanta si organizzarono tre convegni
sindacali sulla riconversione dell’industria bellica. L’ultimo è
datato novembre 1989 e venne organizzato dalla Fiom CGIL di Brescia
sul tema Pace, disarmo e riconversione
dell’industria bellica. Esso faceva seguito
all’approvazione di un documento unitario, datato 10 maggio 1989, a
firma di Fim-Fiom-Uilm nazionali dal titolo Industria
bellica. Fim, Fiom e Uilm per la riconversione.
L’attenzione a
queste tematiche raggiunse anche le aule parlamentari e nell’aprile
1989 il ministro delle Partecipazioni Statali, Carlo Fracanzani,
istituì una Commissione ministeriale di studio e l’anno successivo
una Commissione per la riconversione.
A conferma di questa
sensibilità, si ricorda anche, nel 1994, l’istituzione
dell’Agenzia per la riconversione dell’industria bellica ad opera
della Regione Lombardia. Questa Agenzia ha lavorato per alcuni anni
ed ha finanziato progetti di riconversione, salvo poi essere chiusa
nel 2003 da Roberto Formigoni.
Allo stesso modo una
grande mobilitazione ha portato a far sì che l’Italia aderisse
(Legge di ratifica ed
esecuzione 26 marzo 1999, n. 106) al trattato di
Ottawa per la messa al bando delle mine antiuomo, che venivano
prodotte anche nel bresciano a Ghedi e a Castenedolo dalla Misar e
dalla Valsella. Ora, proprio per la sottoscrizione di quel trattato,
in Italia non è più possibile produrre tali mine e le due aziende
di cui sopra hanno riconvertito la propria produzione. Come dire che
talvolta i sogni si realizzano! Giova comunque ricordare che le mine
bresciane, disseminate in decine di Paesi del mondo, continuano a
fare vittime e a mutilare bambini ed adulti che, inavvertitamente, le
calpestano. Queste mine, infatti, se non disinnescate, rimangono
attive per decenni. Ora sono in atto in vari Paesi (es. Mozambico,
Angola…) programmi di sminamento (costosissimi), ma ancora per
molti anni le mine rimarranno e continueranno a causare morti e
feriti.
Un territorio
sensibile e attento ai temi della pace
La Consulta per la
pace del comune di Brescia, la Commissione Giustizia e Pace e il
Centro Missionario della diocesi di Brescia, l’Università
cattolica, i Missionari comboniani, la CGIL, Pax Christi,
l’associazione Brescia solidale hanno costituito da alcuni anni
Opal, “Osservatorio permanente sulle armi leggere”, proprio con
l’obiettivo, dati alla mano, di monitorare continuamente il
commercio delle armi leggere, denunciare le contraddizioni politiche
e morali connesse con tale commercio e porre il tema della
riconversione delle aziende belliche.
Il Comune di
Brescia, negli anni in cui era retto dal prof. Paolo Corsini, in
accordo con la Diocesi di Brescia (Ufficio di pastorale sociale) e
con altre numerose realtà associative, ha cercato di modificare il
regolamento di Exa affinchè si prevedesse la presenza alla mostra
solamente di armi sportive e da caccia, escludendo le armi leggere.
Il coordinamento dei gruppi interessati a questa proposta venne
affidato ad una donna di scuola, una preside, che era anche
consigliere comunale a Brescia, Rosangela Comini. La modifica del
regolamento non è riuscita, a testimonianza della forza della lobby
delle armi nella provincia di Brescia.
Un importante comune
del bresciano (Concesio) ci richiama ogni anno al valore del
messaggio di Paolo VI, al suo invito rivolto dalla tribuna dell’Onu
(4 ottobre 1965) a lasciar cadere le armi dalle proprie mani e a
impegnarsi nell’educazione alla pace. Sempre nel paese natale di
Paolo VI (Concesio) viene assegnato ogni anno un premio per la pace:
è stato assegnato a don Panizza, un sacerdote bresciano impegnato in
Calabria contro la n’drangheta; a mons. Mazzolari, morto in sud
Sudan.
Ecco, una scuola deve
decidere se partecipare a una fiera dove si pubblicizzano armi che
anche la n’drangheta usa e che anche nel sud Sudan sono state
usate, oppure se seguire il pensiero di Paolo VI, di don Panizza e di
mons. Mazzolari. Non si possono fare entrambe le cose; non si possono
tenere i piedi in due scarpe così diverse.
In molte scuole
bresciane, e anche all’Istituto Beretta di Gardone V.T., in questi
anni sono stati realizzati diversi progetti proposti da
“Bresciamondo”, una realtà che raggruppa varie decine di
associazioni, tutte fortemente attive sul versante dell’educazione
alla pace e alla mondialità. Come si fa a conciliare le attività di
educazione alla pace e alla mondialità con la partecipazione a Exa?
Una legge di
civiltà
Grazie alla
mobilitazione di associazioni, Chiese e gruppi politici, nel 1990 è
stata approvata la Legge 185, una legge di civiltà, che ha posto
precisi limiti alla vendita delle armi vietando esportazioni non
conformi alla politica estera e di difesa italiana e vietando la
vendita a Paesi che violino i principi della Costituzione italiana e
che non rispettino i diritti umani.
Tuttavia questa legge
è stata diverse volte aggirata, vendendo ad esempio armi non
considerate militari ma poi usate nella repressione delle rivolte,
come più volte documentato da Opal nei suoi Rapporti.
Negli anni della
guerra nella ex Jugoslavia ingenti forniture di armi Beretta sono
andate all’Albania, che sosteneva direttamente vari gruppi come
l’Ukk.
Nel febbraio 2005 i
servizi segreti statunitensi comunicavano ai colleghi italiani di
aver trovato un certo numero di armi Beretta in Iraq in mano a gruppi
vicini a AlQaida.
Le commesse militari
italiane destinate alla Libia sono passate dai 15 milioni di euro del
2006 ai 112 milioni del 2009 e ciò ha portato il nostro Paese ad
essere il primo fornitore europeo di armi al regime di Gheddafi.
Nel novembre 2009,
due mesi dopo la coreografica visita di Gheddafi in Italia, la
Beretta ha venduto 11.500 tra pistole, carabine semiautomatiche e
fucili a presa di gas alla Libia, armi classificate come “civili”
ma in realtà usate dalla polizia di Gheddafi per la repressione
delle rivolte.
Armi Beretta sono in
dotazione a forze armate e dell’ordine di un centinaio di Paesi, e
in diversi di questi sono usate anche per l’attività di
repressione del dissenso.
Allo stesso modo armi
leggere di altre aziende italiane sono ancora oggi usate nei vari
conflitti sparsi per il mondo o dalle polizie e forze armate di vari
Paesi per reprimere le proteste popolari.
Nel mese di luglio
2013 Opal, Osservatorio permanente sulle armi leggere, ha segnalato
che nel 2011, 2012 e anche nei mesi iniziali del 2013 armi italiane,
e bresciane, sono state esportate in Kazakistan, il Paese diventato
famoso per la vicenda dell’espulsione dall’Italia della moglie
del dissidente Ablyazov e della figlia di sei anni. Il Kazakistan è
stato più volte denunciato da Amnesty International per la
violazione diffusa e sistematica dei diritti umani; il suo presidente
Nazarbaev sta usando tutti i mezzi possibili per stroncare
l’opposizione. Nella repressione delle manifestazioni del dicembre
2011, operate dalle forze dell’ordine, vi furono ad esempio almeno
15 vittime e oltre 100 feriti gravi. Hanno dichiarato i responsabili
di Opal: “Siamo sorpresi nel vedere che, nonostante le ripetute
denunce di violazione delle libertà democratiche e civili da parte
delle forze dell’ordine kazake, continuano le esportazioni di armi
verso quel paese dall’Italia e soprattutto da Brescia, la provincia
in cui si concentra la maggiore produzione di armi italiane”
(Bresciaoggi, 20 luglio 2013) .
La National
Rifle Association, una potente lobby
delle armi
Negli Usa il possesso
delle armi è diffusissimo; chiunque
abbia compiuto 21 anni può acquistare un’arma da fuoco
e ciò è possibile grazie ad un’interpretazione estensiva del II
emendamento che garantisce il diritto di possedere armi a chiunque.
Originariamente, il secondo emendamento della Costituzione degli
Stati Uniti d’America, era stato formulato per le milizie cittadine
che, durante gli anni delle grandi colonizzazioni europee, vedevano
nelle armi da fuoco l’unico strumento che gli americani avevano per
difendere territori, case e famiglie.
Un ruolo di primo
piano nella diffusione delle armi negli Usa viene giocato dalle lobby
delle armi che spesso finanziano le campagne politiche.
La National Rifle Association,
NRA, è una delle più potenti organizzazioni degli Stati Uniti. È
una influente lobby che finanzia campagne politiche e si batte per la
difesa del diritto costituzionale al possesso ed al porto delle armi
da fuoco. Negli Stati Uniti il possesso e il porto di un’arma
costituisce un diritto civile protetto dalla Carta
dei Diritti statunitense (in particolare dal
secondo emendamento). Molte leggi sul controllo delle armi sono state
bloccate da questa lobby.
La Beretta è
presente in modo significativo negli Stati Uniti e fa parte della
National Rifle Association.
Recentemente,
anche a seguito di tragici fatti di sangue avvenuti nelle scuole
statunitensi, pure il presidente Obama ha sostenuto la necessità di
una legislazione più restrittiva in materia di vendita di armi negli
Usa, ma per il momento la lobby delle armi ha avuto la meglio e
nessuna norma restrittiva è ancora stata approvata.
(Sul ruolo di questa lobby si
veda l’articolo di Paul Arpaia, apparso sulla rivista mensile
“Mosaico di pace” di luglio 2013, dal titolo La
lobby delle armi. Paul Arpaia è docente
presso l’Indiana University di Pennsylvania)
.
“Italiani?
Complimenti, le vostre armi sono le migliori!”.
Suor Annarita
Brustia, della Consolata, durante una recente veglia missionaria a
Novara, ha raccontato che alcuni anni fa ritornando in Liberia, ad un
posto di blocco, le hanno chiesto il passaporto e, vedendo che era
italiana, i militari le hanno detto: “Ah,
italiani! Complimenti! Guardate qui le vostre armi, sono le
migliori!”.
E mons. Luis Sako,
arcivescovo caldeo di Kirkuk in Iraq, eletto lo scorso 1° febbraio
patriarca della Chiesa Caldea, ha scritto:
“Gente del Primo
Mondo, gente istruita e saggia, gente nobile che costruisce aerei e
altri strumenti di morte: questa è una cosa vergognosa, una cosa
inammissibile. Basta armi e distruzioni! C’è gente che muore ogni
giorno. La vita è bella! Il mondo è bello, bisogna rispettarlo e
renderlo ancora più bello. A causa delle armi fabbricate da voi e
con i vostri soldi, in Iraq ogni giorno ci sono 100 morti, molti
feriti e migliaia di profughi…Lo stesso accade in Somalia,
Palestina, Siria e in altri Paesi”
(Dichiarazione riportata nel dossier Armi made
in Europe pubblicato sul mensile “Popoli e
Missione” di marzo 2013).
Conclusione
La partecipazione di
una scuola ad una fiera come Exa trasmette l’idea che si tratti di
una fiera come tante. Ma in realtà non è così. Esporre delle armi
non è come esporre degli elettrodomestici.
Ha scritto Giovanni
Paolo II nel messaggio per la Giornata della pace del 1999:
“Le armi non
possono essere considerate come gli altri beni che vengono scambiati
sul mercato globale, regionale o nazionale. Il loro possesso,
produzione e scambio ha profonde implicazioni etiche e sociali e deve
essere regolamentato prestando la dovuta attenzione agli specifici
princìpi di ordine morale e legale”.
Le armi leggere sono
le principali protagoniste nelle guerre dimenticate e nei conflitti
“a bassa intensità” per una serie di motivazioni: la relativa
facilità di trasporto, l’ampia disponibilità, il facile impiego e
la lunga durata, il basso costo, la manutenzione elementare.
Ogni anno l’abuso
di armi leggere determina un aumento dei morti, dei feriti e dei
traumi psicologici sia nel contesto dei conflitti nazionali e
internazionali, sia degli abusi nell’applicazione della legge,
nella repressione violenta dei diritti democratici e nella violazione
del diritto all’autodeterminazione dei popoli. Le armi leggere
incrementano la violenza (esemplare il caso degli Stati Uniti),
l’insicurezza, la paura, l’instabilità. La diffusione delle armi
leggere per la difesa personale diffonde l’idea della giustizia
“fai da te” e della visione dell’altro come potenziale nemico
da cui difendersi con ogni mezzo.
Ha
scritto Benedetto XVI ai partecipanti al seminario internazionale
organizzato dal Pontificio consiglio per la giustizia e la pace sul
tema Disarmo, sviluppo e pace. Prospettive per
un disarmo integrale, 20 aprile 2008:
“È infine
richiesto ogni sforzo contro la proliferazione delle armi leggere e
di piccolo calibro, che alimentano le guerre locali e la violenza
urbana”.
Alberto
Tridente (1932-2012), sindacalista torinese della Fim-Cisl, di cui
divenne segretario nazionale, come lo fu successivamente della Flm
nazionale (la Federazione unitaria dei metalmeccanici), all’interno
della quale occupò l’Ufficio delle relazioni internazionali, è
stato un protagonista del movimento sindacale italiano. Al cuore del
suo impegno vi è stata la battaglia per la riconversione, parziale e
progressiva, delle produzioni belliche in produzioni civili. Su tale
tema si è scontrato con molte resistenze, anche interne al
sindacato, ma Alberto Tridente non ha desistito, anzi ha provocato
apertamente il sindacato e gli stessi lavoratori. In una assemblea
tenuta nel 1974 alla Oto Melara, fabbrica bellica di La Spezia che
aveva inviato cannoni al Cile di Pinochet senza che nessuno del
sindacato o della sinistra locali avesse avuto da eccepire, Tridente
ha lanciato una provocazione che è diventata uno slogan da lui
ripetuto in ogni occasione:
“Produrre
armi nella settimana e poi manifestare il sabato per i popoli contro
i quali quelle armi saranno usate, è semplicemente incoerente e
vergognoso”
.
Ecco,
parafrasando Alberto Tridente, posso concludere dicendo che una
scuola non può da un lato educare alla pace, alla tolleranza, al
rispetto, ai diritti umani, e nello stesso tempo partecipare ad una
fiera che pubblicizza anche produzioni belliche che nulla hanno a che
fare con la pace, la tolleranza, i diritti umani, il rispetto degli
altri.
Allo
stesso modo una città non può, attraverso le sue associazioni,
proporre attività di educazione alla pace, al rispetto dei diritti
umani, alla mondialità, all’intercultura e nello stesso tempo
permettere che si pubblicizzino in una fiera armi da guerra.
P.S.
Quanto
qui di seguito riportato non è presente nell’articolo di Città e
Dintorni in quanto il materiale della diocesi, cui si fa riferimento,
è stato diffuso quando ormai il numero della rivista era in
tipografia per la stampa. Lo riporto perché serve a completare
l’articolo e a confermare le idee che vi sono sostenute.
In occasione della
Giornata di preghiera e di digiuno per la pace in Siria, indetta da
papa Francesco per il 7 settembre 2013, la diocesi di Brescia ha
diffuso tra i gruppi e le parrocchie del materiale per riflessioni e
celebrazioni, dove si denuncia «l’ipocrisia della comunità
internazionale che, dopo due anni di guerra civile in Siria con oltre
93mila morti e due milioni di sfollati, si accinge ora ad un
intervento militare nel Paese». Prosegue il documento della diocesi
di Brescia:«Dovevano essere fermate prima le esportazioni di armi
leggere che l’Italia, in particolar modo dalla provincia di
Brescia, e diversi Stati europei hanno continuato ad inviare nei
Paesi confinanti con la Siria. Le armi leggere sono le vere “armi
di distruzione di massa” che hanno alimentato il conflitto».
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