Riccardo Imberti
dopo aver titolato, l'editoriale scorso, settimana
terribile, pensando ai tanti nodi che il governo si trovava a dover
affrontare, credevo, che seppur con fatica, il governo delle larghe
intese, riuscisse in qualche modo a passare la strettoia.
Non è
stato così.
Il condannato ha dato l'ordine e i
sudditi lo hanno eseguito, senza se e senza ma. Ha preso la scusa
dell'aumento dell'IVA, cosa di cui ne porta la respondabilità, per coprire il vero problema: la
sua decadenza da senatore e la ineleggibilità. Ormai lo sanno anche i
sassi: il vero problema sono i processi in arrivo.
Il PD a questo punto si trova di
fronte a un bivio e le strade possibili sono ambedue complicate e
difficili. Scegliere di continuare l'esperienza delle
larghe intese; oppure,
chiedere il voto di fiducia in parlamento e accontentarsi di
raccogliere qui e là, dissidenti di varia estrazione, per tirare a
campare. Letta è deciso a chiedere la fiducia, ma
non è disposto a vivacchiare: tradotto, significa che non è
interessato alla seconda ipotesi. Come dargli torto. Con i problemi
gravissimi che vive il nostro Paese, come è possibile immaginare che
un governo con una maggioranza risicata possa farvi fronte?
Letta in queste ore, ha smesso i
panni del mediatore e attaccato il condannato, ha affondato la lama nel corpo molle del PDL,
richiamando tutti alle proprie responsabilità.
Non è mancato ovviamente, il parere del “leader maximo”, che non ha
fatto altro che ripetere il ritornello di questi mesi: se ci sarà la
crisi e non vi saranno alternative di governo, neppure per fare la
riforma elettorale, si vada al voto e si sospenda la fase
congressuale. Per Dalema si dovranno fare le primarie per la
leadership e non per la segreteria del PD.
In effetti, c'è da dire, che in
una situazione così drammatica, è difficile immaginare di celebrare
un congresso. Difficile, ma non impossibile. Io resto del parere che non sia auspicabile che, in una situazione come la nostra, si congeli la
classe dirigente che ha gestito il partito in questi quattro anni con
i risultati che abbiamo sotto gli occhi e procedere con la scelta del
premier, rischiando di ripetere ciò che è avvenuto con il governo
Prodi. Mi pare una scelta altamente rischiosa.
Che fare allora?
Alle 16 di mercoledì, il Presidente Letta interverrà
al senato e chiederà la fiducia. Se non la ricevesse, tutto tornerà
nelle mani di Napolitano e a quel punto ne sapremo di più, riguardo i tempi
della soluzione della crisi, o dello scioglimento delle camere e delle elezioni anticipate.
Certamente mi auguro che
il PD non ricerchi soluzioni pasticciate, elemosinando voti in parlamento,
facendo appello alle frange di dissidenti, salvo, se possibile, per
fare la riforma elettorale condivisa. Una riforma indispensabile, per evitare
che la Corte Costituzionale sentenzi la incostituzionalità del
porcellum, e al tempo stesso una riforma, che restituisca il potere
ai cittadini nella scelta dei parlamentari e consenta la governabilità.
Spero di sbagliarmi, ma se, come penso, i parlamentari e i ministri del
PDL non torneranno sui loro passi, non vedo altre strade se non un
ritorno alle urne.
Il PD è oggi più di ieri,
chiamato a guidare questa fase di estrema difficoltà e delicatezza e per queste ragioni, è auspicabile che proceda speditamente alla elezione di una nuova classe
dirigente, che gli consenta affrontare la situazione data, libera da
orpelli e liturgie del passato. Un partito che in questi mesi, non
solo non ha ritenuto opportuno prendere provvedimenti contro i 101 franchi tiratori che
hanno impallinato Prodi, ma che ha cercato in tutti i modi, senza riuscirci, di cambiare
le regole per impedire il rinnovamento, come può essere in grado di
far fronte a una fase come questa?
Queste sono le domande che mi
pongo in queste ore difficili. La politica è l'arte del possibile e
non è scontato nulla, anche l'ennesimo ripensamento del condannato e dei suoi sudditi.
Di una cosa però sono convinto. Questo Paese non è in
grado di sopportare oltre misura, una situazione di così grave
difficoltà e ciò che può capitarci, se restiamo fermi, è di consegnare il Paese ad un
populismo che rischierebbe di stravolgere il sistema. Questo non
possiamo permetterlo.
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