Marco Damilano
«Sono venuti a prendermi quasi alla fine del mondo», si presentò
il 13 marzo il papa argentino e fu un manifesto programmatico, come
quello contenuto nella sua intervista a “Civiltà cattolica”: «Essere
profeti a volte può significare fare ruido, non so come dire…
La profezia fa rumore, chiasso, qualcuno dice “casino”…». Quella voce in
piazza San Pietro sembrò consegnare le cose vecchie al passato e aprire
terre e cieli nuovi. La fine di un mondo e l’inizio di un mondo nuovo.
Per la politica italiana, invece, è sempre “il mondo di ieri”, come il
classico di Stefan Zweig sull’Austria alla vigilia della prima guerra
mondiale. Nel mondo di ieri ci sono le larghe intese che si restringono
all’improvviso, i voti di fiducia con i transfughi di uno o dell’altro
partito da cercare, i comunicati criptici, i minuetti, la faccia feroce
in favore di telecamera e le trattative sotto il pelo dell’acqua. Nel
mondo di ieri c’è il signore di Arcore che vorremmo nominare sempre di
meno e una sinistra sfasciata e incapace di dirsi finalmente la verità
sulle cose e se stessa che vorremmo non vedere più. Anche l’ultimo
arrivato, l’ex comico che si è fatto rivoluzionario, si è rapidamente
adeguato e non vuole più cambiare neppure la legge elettorale. Il mondo
di ieri nella settimana che si apre è al colpo di coda finale e perciò
più pericoloso, con la dissoluzione del sistema politico o, più
modestamente, del partito berlusconiano. «Ogni ombra in fondo è anche
figlia della luce e solo chi ha potuto sperimentare tenebra e chiarita,
guerra e pace, ascesa e decadenza, può dire di avere veramente vissuto»,
scriveva Zweig. Per questo da oggi questa conversazione quotidiana si
chiamerà Finemondo.
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