sabato 14 settembre 2013

IL MERCATO. IL TRISTE SPETTACOLO DELLA RIFORMA IMU

La discussione che ha portato all’ennesima riformulazione della tassazione degli immobili, mi è sembrata uno spettacolo da Circo: più spettacolo che riforma razionale, ma che intristisce. E non mi riferisco solo al clownesco utilizzo dell’Imu da parte del Pdl per ramazzare consensi, o al triste mercanteggiamento politico del Pd, giustificato con la necessità di stabilità politica. Ovunque il fisco ha ricadute politiche; e ovunque esistono gruppi di pressione. Ma un sistema tributario dovrebbe perseguire obiettivi di redistribuzione chiari e trasparenti, e farlo in modo efficiente: raccogliendo le risorse per lo Stato con il minimo costo in termini di disincentivi all’attività economica; e tenendo in conto gli effetti indiretti che ogni imposta ha sul resto del sistema. È come una vecchia tubatura che perde acqua da tutte le parti: si può sostituirla e risolvere il problema per i prossimi vent’anni; o discutere se ridurre le perdite con una giuntura, otturare alcuni buchi, o tagliare l’erogazione in certe ore del giorno. L’analogia mi è venuta in mente quando ho letto delle 9 proposte del Governo.
Con Monti l’Imu era una tassa sulla ricchezza. Adesso è definita un’imposta per il finanziamento delle amministrazioni locali. E’ così in tutto il mondo, perché il valore di un immobile è correlato ai servizi e qualità della vita che un Comune contribuisce ad assicurare; e la localizzazione della base imponibile è inequivocabile. Ma perché fosse una vera imposta comunale bisognava: abolire l’addizionale sul reddito delle persone che è illogica rispetto alle finalità, e occulta le vere aliquote marginali in vigore; dare piena autonomia ai Comuni, responsabilizzandoli in questo modo, perché si stabilisce un legame diretto tra qualità delle amministrazioni e il loro costo per i residenti; passare dai valori catastali a quelli di mercato, assicurando però trasparenza negli algoritmi che li determinano.
L’efficienza e la chiarezza di obiettivi richiederebbero di eliminare la discriminazione tra prima e seconda casa. Il proprietario beneficia dei servizi pubblici in ogni caso. Se l’obiettivo è sussidiare la proprietà a chi ha basso reddito, meglio consentire la detrazione dall’imponibile delle imposte sugli immobili. Così, invece, si sussidia anche chi ha un reddito elevato, violando il principio di progressività. Oltre a deresponsabilizzare i Comuni che possono tassare chi, come i proprietari di seconde case, non hanno diritto di voto. E si penalizza il mercato degli affitti (sono seconde case), penalizzando indirettamente la mobilità, invece di facilitarla per migliorare la ricerca del lavoro. Se lo scopo è la redistribuzione del reddito (seconda casa sinonimo di “ricco”), gli strumenti appropriati sono le aliquote marginali sul reddito e l’azione contro l’evasione. Egualmente demagogica la distinzione tra abitazione di “lusso” e non, sulla base di criteri arbitrari: superflua passando ai valori di mercato, che già incorporano tutte le informazioni.
C’è poi l’accorpamento dell’imposta sugli immobili con quella sulla raccolta rifiuti. Mentre l’efficienza richiederebbe che tutti i servizi di cui è possibile misurare o stimare il consumo, come i rifiuti, vadano pagati con un tributo specifico e proporzionato all’utilizzo. Perché allora non accorpare anche luce e gas?
La casa è un bene di investimento, e il suo reddito dovrebbe essere tassato come tutti gli altri. Non è così. I capital gain sono esenti. Sfugge la logica. L’Invim fu abolita perché con l’inflazione elevata si tassava la perdita di potere di acquisto. Ma con l’Euro il problema è sparito. Però si tassa il reddito figurato degli immobili (la rendita in dichiarazione). Se però il mio investimento non rende (casa sfitta) sono già penalizzato perché rinuncio a un reddito: perché lo Stato mi penalizza ulteriormente? Per “incentivare” la locazione? Ma allora perché, contemporaneamente, la si penalizza tassando maggiormente le seconde case? Infine, aumentando le imposte sulla proprietà si doveva abbattere quelle, molto elevate, sulle transazioni (registro, ipotecaria) per non penalizzare le compravendite, e facilitare mobilità e accesso al mercato delle case. Ma di questo neanche una parola.

Alessandro Penati

La Repubblica - 14/10/2013

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