Mentre
la cooperazione è al collasso, stormi di professionisti privati vengono
mandati in missione all'estero con indennità da diplomatici, pagate coi
fondi pubblici destinati ai programmi di svilupppo. Missione dopo
missione c'è chi ne ha fatto un mestiere. E chi ne ha approfittato al
punto da ritrovarsi in Procura
di Thomas Mackinson |
Il Fatto Quotidiano 23 settembre 2013
C’è chi scappa dalla Cina per cercar fortuna e chi ha la fortuna di andarci, lavorare 44 giorni e tornare in Italia con 70-80mila euro sul conto. Pagati dallo Stato, con le risorse destinate all’aiuto per i poveri. In Parlamento
si stracciavano le vesti per il taglio ai fondi della cooperazione allo
sviluppo – per poi approvarli con la benda sugli occhi – e dalla Farnesina
partivano “esperti” in missione all’estero con costi di cinquecento,
anche mille euro al giorno. Un settore a cui lo Stato destina poche
risorse: negli ultimi anni è stato tagliato l’80 percento dei contributi diretti e sono stati chiusi molti uffici, anche con finanziamenti già erogati e progetti ancora in corso. Le Regioni aspettano per anni di vedersi restituire milioni di euro anticipati come crediti d’aiuto, le Ong a corto di fondi richiamano i volontari, gli uffici tecnici per la cooperazione all’estero chiudono. Ma da Roma vanno e vengono come nulla fosse stormi di consulenti
privati pagati a peso d’oro. Saranno bravissimi, sicuro i migliori su
piazza. Ma c’è da rimanere a bocca aperta per gli importi, ancorché
lordi e comprensivi di costi assicurativi.
Scorrendo il “quadro missioni” della Direzione Generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs) c’è il professore di economia da inviare per quattro mesi in Ghana,
dove il 28% della popolazione vive sotto la soglia di povertà
internazionale di 1,25 dollari, a 70mila euro per svolgere non meglio
precisate attività di “supporto privato”. A un capo progetto che va un
anno in Senegal, reddito pro capite non supera i due
dollari al giorno, vengono riconosciuti 180mila euro, un appartamento.
Un forestale, e dalla Sicilia in su tanti ce ne sono, in Mozambico
prende 11-12mila euro al mese. Stando così le cose tanti italiani
partirebbero volentieri in missione. Solo che “esperti” non si diventa,
non c’è concorso. Esperti ti ci fanno. Ad attribuire gli incarichi sono
digli uffici della Dgcs, la direzione che coordina, gestisce e realizza
tutte le attività internazionali dello Stato italiano dirette al sostegno dei paesi in via di sviluppo: ospedali, scuole, strade, interventi umanitari d’emergenza tutti finanziati con fondi italiani.
La
figura degli “esperti” nasce con la legge n. 49/1987, quella che a
parole tutti i governi vorrebbero riformare (compreso quello attuale) e
poi mollano il colpo. Esordisce come “legge speciale”, tale cioè da derogare le applicazioni giuridico-finanziarie imposte dalla contabilità generale dello Stato, le norme su assegnazione di incarichi, trasparenza e la tracciabilità
dei flussi finanziari. Da qui sembra discendere anche la
discrezionalità di selezionare chi inviare in missione come “personale
di supporto e assistenza tecnica”.
Gli esperti sono di due tipi, quelli assunti presso le Unità tecniche centrali e quelli esterni. I primi sono stati inizialmente inseriti a termine, con contratti
individuali di diritto privato e retribuzioni lorde fino ai 73mila euro
che possono arrotondare con le missioni all’estero. La loro carriera da
professionisti privati è finita nel marzo 2012 atterrando sul velluto
della previdenza pubblica: i contratti sono stati trasformati a tempo
indeterminato, nonostante l’età media di 63 anni. Fino al 2011 gli
esperti Utc non erano pensionabili e non era raro
incontrare ultraottantenni che ancora operavano negli uffici della
Farnesina. Visto anche il rischio di cause, s’è deciso poi che erano
come dipendenti a tutti gli effetti e ne è stato regolamentato anche il
pensionamento, lasciandogli però la possibilità di rientrare come
consulenti per compiere nuove missioni con limite di 75 anni. Per gli
esperti privati il trattamento economico di base è modesto ma schizza
alle stelle con l’indennità di servizio all’estero (esentasse) calcolata
secondo il “coefficiente di disagio” della destinazione applicato ai diplomatici.
Qualcuno
è riuscito a farne un vero e proprio mestiere e anno dopo anno, a furia
di missioni brevi e lunghe, ha girato il mondo e messo via un bel
gruzzoletto. Sapere chi fa parte del “club degli esperti” non è facile.
Nell’area “trasparenza” del sito della Dgcs c’è una sezione incarichi ma è ferma da due anni e non riporta curriculum
e motivo dell’incarico. Per arginare la discrezionalità delle
assegnazioni e aprire il più possibile la partecipazione alle selezioni
tre anni fa la DGcs ha messo alcuni paletti inderogabili e valorizzato
l’esperienza sul campo. Anche perché, nel frattempo, non tutti gli
esperti si sono rivelati necessariamente onesti: proprio nel 2010, ma la
vicenda è emersa solo l’anno scorso, si è scoperto che 29 di loro
dichiaravano residenze fittizie in Italia per intascare indennità da
150-390 euro al giorno cui non avevano diritto perché regolarmente
residenti nei paesi di destinazione.
Si andava da compensi tra i 10mila e gli oltre 300mila euro, frutto di varie missioni cumulate. Sono stati denunciati alla Procura di Roma,
tra loro c’erano anche stimati professori universitari. Non si capisce
se la qualifica di esperto deroghi la legge sull’affidamento di
incarichi esterni che dal 2007 obbliga le amministrazioni a verificare
preventivamente l’esistenza di analoghe professionalità interne per non
creare inutili doppioni a carico dei contribuenti. Possibile che non se
ne riescano proprio a trovare in un ministero da 7mila dipendenti o in
altri che pullulano di chirurghi, agronomi, forestali
e quant’altro? Si dirà che questa storia non è poi una novità per
l’Italia, visto che anche nel 2012 siamo riusciti a spendere 1,3
miliardi affidando 300mila incarichi. Ma ancora non si era arrivati a
perlustrare il fondo della Repubblica delle consulenze:
far soccorre chi campa con un dollaro da consulenti privati che paga
anche mille volte di più. Col paradosso che un giorno di missione in
meno riempie la pancia a migliaia di disperati. Ma uno sciopero degli
esperti, chissà perché, ancora non s’è sentito.
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