martedì 24 settembre 2013

La sanità e i vecchi vizi della politica

“La mappa delle Asl che gli esponenti del Carroccio immaginano ricalca puntualmente quella della presenza dei direttori generali targati Lega”


E’ tempo di riformare la sanità lombarda. Lo dicono i conti da rendere più snelli, lo spiega la politica che vuole dare il segno di aver superato l’era Formigoni, affrancandosi dalle storture che quel blocco di potere aveva creato negli anni.

In un paese normale si sarebbe lavorato prendendo l’esistente e ottomizzando le risorse, valorizzando le eccellenze, razionalizzando i servizi con un occhio più alla qualità che ai campanilismi, più al bene comune che alla continuità politica. Ma non è facile riuscire a tener fede a questo principio, nemmeno in una regione dove la sanità, al di là delle storture e delle influenze politiche, ha fino ad ora prodotto più modelli da seguire che brutte figure da dimenticare. La politica lombarda è al lavoro sul punto, ma le premesse non sono confortanti. Almeno a giudicare dalle bozze che circolano sui tavoli dei palazzi regionali: un condensato di immotivato campanilismo, vecchia convenzienza politica e poco rispetto per chi quotidianamente cerca di far girare al meglio macchine complesse che, nel corso degli anni, hanno visto assottigliarsi risorse.


Difficile capire al momento le logiche della riforma sanitaria lombarda
Cerchiamo di capire. La bozza elaborata dal leghista Fabio Rizzi sul piano del riordino delle strutture propone soluzioni  a dir poco ardite: si inventa un’Asl della montagna  mettendo insieme tre valli e unendo la Valcamonica a Sondrio; porta in dote al massimo ospedale della provincia (uno dei più grandi Italia con circa 1200 posti letto) nuove strutture ospedaliere come Desenzano, Gavardo o Iseo, facendolo diventare un pachiderma che rischia la paralisi gestionale;  smembra l’azienda ospedaliera della Bassa bresciana occidentale (quella che fa capo a Chiari) aggregandola agli ospedali della Bassa bergamasca che gravitano attorno a Treviglio. Ipotesi stravaganti alle quali è difficile dare una spiegazione che non sia tutta politica e per le quali è difficile immaginare dove possa essere individuato il risparmio.

Mi spiego: la Lega in questi anni  ha sempre dipinto la Valcamonica (unica zona lombarda in cui il governo dell’Asl e dell’azienda ospedaliera coincidono)  come un proprio feudo (l’ex assessore regionale del Carroccio Monica Rizzi, ad esempio, non fece mai mistero di aver messo alla guida dell’ospedale di Esine un uomo di fiducia). In queste settimane, non appena qualche esponente regionale a partire dell’assessore alla Sanità Mario Mantovani ipotizzava un riordino che poteva mettere a rischio l’autonomia della valle, i consiglieri camuni al Pirellone si affrettavano a spiegare che non vi sarebbero stati tagli ma potenziamenti. Ora, forse consapevoli che l’autonomia camuna, così come è concepita, non è più difendibile, è arrivata l’ipotesi di mettere insieme, nel nome della montagna, Esine ed Edolo con Sondrio. Una maxi area che potrebbe avere un solo colore: verde padania, visto che è a guida leghista anche l’azienda ospedaliera di Valteltellina e Valchiavenna.

Scranni  con vista Carroccio sono anche quelli del direttore generale dell’azienda Ospedaliera Mellino Mellini di Chiari e degli ospedali di Treviglio-Caravaggio.  Meglio quindi fare scempio dell’unità provinciale e fondere le due aziende mettendo al sicuro la poltrona, con buona pace dell’ospedale di Iseo, aggregato a Brescia, e di Manerbio che finirebbe, senza che ciò abbia una logica nemmeno nella continuità territoriale, con Treviglio. Insomma: si ha l’impressione che per qualcuno riformare significhi amministrare poltrone e prebende e non posti letto e servizi di primaria importanza per i cittadini.

Se non fosse così nessun amministratore dotato di un minimo di conoscenza della materia si azzarderebbe a creare una maxi azienda ospedaliera come quella che graviterebbe attorno al Civile con sei strutture, centinaia di posti letto, migliaia di dipendenti, un territorio che va dal Sebino al Garda passando per Bassa, Valtrompia e Valsabbia e un ospedale universitario d’eccellenza che accoglie pazienti da tutta Italia. Governare una struttura tanto complessa, coordinare le esigenze del territorio con quelle della ricerca, l’alta specializzazione con la bassa intensità delle cure rischia di rivelarsi un’impresa fallimentare. Così come creare un’enclave sanitaria montana, che racchiude tre valli con le sue criticità climatiche e infrastrutturali cui far fronte, vuol dire non tanto servire il territorio, ma impoverirlo dal punto di vista professionale, visto lo scarso appeal che la montagna rappresenta per i professionisti e le loro famiglie quando si tratta di lavoro e non di escursioni alla ricerca di funghi e settimane bianche. Basta dare uno sguardo  all’albo pretorio dell’Ospedale Civile per capire quanto, ad esempio, il maggiore ospedale provinciale ceda professionalità, in termini di consulenze, per garantire il corretto funzionamento del nuovo servizio di radioterapia di Esine, inuagurato da poco, ma che, senza una rete di mutuo soccorso costruita negli anni su scala provinciale, faticherebbe ad operare.

Basare la logica di questi accorpamenti sulle esigenze di tagliare posti letto e costi di produzione non trova giustificazione nella realtà. Gli ospedali hanno da tempo bloccato i turn over e non rinnovato i contratti a termine per risparmiare. I livelli di assistenza sono garantiti con personale ormai ridotto all’osso (tanto che gli esperti già iniziano a discutere della possibilità di esternalizzare  non solo servizi di tipo alberghiero, dal vitto alle pulizie, ma anche alcuni settori diagnostici che fanno gola, ad esempio, ai laboratori di analisi privati). Tutti sanno che su questo fronte i margini di recupero dei costi sono ormai limitati al personale amministrativo (e questo, ipoteticamente, renderebbe più produttiva la fusione tra le Asl che tra gli ospedali) a meno di non riccorrere alla impopolare chiusura di altri plessi (mesi fa si diceva che la spending review imposta dal governo Monti avrebbe costretto alla dismissione dell’Ospedale di Iseo e di quel che resta, in termini di posti letto, dei plessi di Salò e Leno).

Per mettere mano in modo serio al riordino della sanità lombarda forse sono necessarie ben altre linee di intervento, una diversa filosofia con cui approcciarsi ad un tema tanto complesso come quello dell’assistenza sanitaria.  I prossimi mesi saranno decisivi  (i rinnovi dei direttori generali di Asl e Aziende ospedaliere – i cui curricula risponderanno come ha voluto l’ex ministra Balduzzi a nuovi criteri di merito meno legati alle simpatie politiche – dovrebbero arrivare all’inizio del 2014 e quindi i nuovi assetti dovranno essere contestuali). Sarebbe troppo pretendere un riordino basato su criteri più tecnici (magari cercando di dosare i livelli di assistenza sanitaria dal centro alla periferia) e meno politici (evitando di digerire nel nome di una tessera poltiglie immangiabili)? Segue dibattito.

Marco Torresini

Corriere della sera - 24/10/2013

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