Epifani: "La data dell'8 dicembre non si tocca". Ora bisognerà
conciliare le nuove regole del congresso con quelle contenute nello
Statuto non modificato. Rimane la coincidenza tra segretario e candidato
premier
La mancanza del numero dei delegati necessario a intervenire
sullo Statuto e l’opposizione di Rosy Bindi e dei veltroniani alla
modifica dell’articolo 3, quello che determina l’identificazione tra
segretario e candidato premier, hanno gettato nel caos l’assemblea
nazionale del Partito democratico, come avete potuto seguire nel nostro liveblogging e come avevamo pronosticato qualche giorno fa, nel caso di un mancato accordo interno.
Cosa succede adesso? Guglielmo Epifani dal palco ha confermato che la
traccia del regolamento congressuale approvata dall’assemblea (anticipata stamattina da Europa)
e la data dell’8 dicembre per la celebrazione delle primarie per
l’elezione del segretario nazionale non si toccano. Spetterà alla
direzione, che si riunirà venerdì prossimo, provare a conciliare queste
regole con quelle dello Statuto, che si sarebbero dovute modificare e
invece sono rimaste invariate. In sostanza, mentre la proposta della
commissione per le regole aboliva la fase delle cosiddette “convenzioni”
per consentire l’anticipazione dei congressi locali senza per questo
spostare troppo in avanti la data delle primarie nazionali, adesso
bisognerà trovare un escamotage per portare a termine tutto entro novembre e mantenere così ferma l’elezione del segretario l’8 dicembre.
Difficile ma possibile, dicono renziani, veltroniani, Bindi e Giovani
turchi. Impossibile, replicano Bersani (“Bisognerà lavorare anche di
notte…”) e i lettiani, secondo i quali a questo punto è inevitabile lo
slittamento delle primarie al 2014 e il conseguente prolungamento del
mandato di Epifani. Nel suo blog,
però, il costituzionalista Stefano Ceccanti pubblica uno schema che
dimostra come sia possibile chiudere tutto il percorso nei tempi
prestabiliti, confrontando il cronoprogramma del 2009 con un’ipotesi di
quello attuabile nel 2013.
Difficile dire chi ha vinto e chi ha perso in questa battaglia
interna, che ha certamente logorato ancora di più l’immagine del partito
all’esterno e tra i suoi stessi delegati, che si sono sentiti umiliati
da due giorni in cui qualsiasi decisione è evidentemente passata sopra
le loro teste.
La battaglia adesso si sposta in direzione. I quattro candidati (Cuperlo, Renzi, Pittella e Civati, tutti intervenuti oggi in assemblea, in una sfida che ha visto il primo prevalere per gli applausi)
vogliono che la data dell’8 dicembre sia confermata. Le pressioni dei
bersaniani e, indirettamente, di Letta spingono invece per un rinvio.
Quel che è certo è che il segretario del Pd sarà automaticamente
candidato premier alle prossime elezioni, a meno che non voglia
concedere (come già fece Bersani) una deroga per consentire ad altri dem
di sfidarlo alle primarie. Questo è l’unico risultato chiaro finora,
portato a casa dai renziani (per evidenti ragioni di opportunità),
grazie all’impegno soprattutto di Rosy Bindi e dei veltroniani (che
hanno voluto mantenere il principio del partito “a vocazione
maggioritaria”). Su tutto il resto, la partita è ancora aperta.
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