sabato 21 settembre 2013

L’assemblea del Pd finisce con un rinvio: venerdì deciderà la direzione

Rudy Francesco Calvo 

Europa  

Epifani: "La data dell'8 dicembre non si tocca". Ora bisognerà conciliare le nuove regole del congresso con quelle contenute nello Statuto non modificato. Rimane la coincidenza tra segretario e candidato premier
La mancanza del numero dei delegati necessario a intervenire sullo Statuto e l’opposizione di Rosy Bindi e dei veltroniani alla modifica dell’articolo 3, quello che determina l’identificazione tra segretario e candidato premier, hanno gettato nel caos l’assemblea nazionale del Partito democratico, come avete potuto seguire nel nostro liveblogging e come avevamo pronosticato qualche giorno fa, nel caso di un mancato accordo interno.
Cosa succede adesso? Guglielmo Epifani dal palco ha confermato che la traccia del regolamento congressuale approvata dall’assemblea (anticipata stamattina da Europa) e la data dell’8 dicembre per la celebrazione delle primarie per l’elezione del segretario nazionale non si toccano. Spetterà alla direzione, che si riunirà venerdì prossimo, provare a conciliare queste regole con quelle dello Statuto, che si sarebbero dovute modificare e invece sono rimaste invariate. In sostanza, mentre la proposta della commissione per le regole aboliva la fase delle cosiddette “convenzioni” per consentire l’anticipazione dei congressi locali senza per questo spostare troppo in avanti la data delle primarie nazionali, adesso bisognerà trovare un escamotage per portare a termine tutto entro novembre e mantenere così ferma l’elezione del segretario l’8 dicembre.
Difficile ma possibile, dicono renziani, veltroniani, Bindi e Giovani turchi. Impossibile, replicano Bersani (“Bisognerà lavorare anche di notte…”) e i lettiani, secondo i quali a questo punto è inevitabile lo slittamento delle primarie al 2014 e il conseguente prolungamento del mandato di Epifani. Nel suo blog, però, il costituzionalista Stefano Ceccanti pubblica uno schema che dimostra come sia possibile chiudere tutto il percorso nei tempi prestabiliti, confrontando il cronoprogramma del 2009 con un’ipotesi di quello attuabile nel 2013.
Difficile dire chi ha vinto e chi ha perso in questa battaglia interna, che ha certamente logorato ancora di più l’immagine del partito all’esterno e tra i suoi stessi delegati, che si sono sentiti umiliati da due giorni in cui qualsiasi decisione è evidentemente passata sopra le loro teste.
La battaglia adesso si sposta in direzione. I quattro candidati (Cuperlo, Renzi, Pittella e Civati, tutti intervenuti oggi in assemblea, in una sfida che ha visto il primo prevalere per gli applausi) vogliono che la data dell’8 dicembre sia confermata. Le pressioni dei bersaniani e, indirettamente, di Letta spingono invece per un rinvio. Quel che è certo è che il segretario del Pd sarà automaticamente candidato premier alle prossime elezioni, a meno che non voglia concedere (come già fece Bersani) una deroga per consentire ad altri dem di sfidarlo alle primarie. Questo è l’unico risultato chiaro finora, portato a casa dai renziani (per evidenti ragioni di opportunità), grazie all’impegno soprattutto di Rosy Bindi e dei veltroniani (che hanno voluto mantenere il principio del partito “a vocazione maggioritaria”). Su tutto il resto, la partita è ancora aperta.

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