Letta sfida il Pdl a una rottura vera. Ma se andare avanti o no a
questo punto non lo deciderà Berlusconi, bensì il presidente del
consiglio e il suo partito.
I toni verso Napolitano si fanno insolenti, è caduta la maschera
di rispetto che la destra mette e toglie quando ha a che fare col capo
dello stato. Ora torna a essere il vecchio comunista doppiogiochista
venuto meno alla parola data. Già, perché nella loro concezione dei
rapporti fra poteri dello stato, i berlusconiani coltivavano davvero
l’idea che un governo di larghe intese nato sotto l’egida del Quirinale
fosse l’equivalente di un’immunità rispetto alle leggi e alle sentenze.
Insomma, hanno proiettato su Napolitano, su Letta, sul Pd e sul parlamento la selvatica ideologia di un potere illimitato.
Solo questo spiega la rabbia di questi giorni.
E spiega la divaricazione – insanabile, dovessimo dirlo stasera – con
il presidente della repubblica e con il presidente del consiglio.
Il chiarimento che si svolgerà in parlamento non potrà infatti
vertere solo sugli impegni di governo, per quanto essi siano
oggettivamente molto importanti.
Né sarà sufficiente verificare la disponibilità (del Pdl, ma a questo
punto anche del Pd) a sforzarsi di lavorare insieme per tutto il 2014:
un patto sulla durata è da tempo la richiesta di Letta ai partiti, una
sua formalizzazione sarà fra le condizioni poste dal premier.
Ma ci vorrà molto di più di questo. Ecco perché l’impresa di tenere
in piedi governo, maggioranza e legislatura sembra in questo momento
disperata.
Berlusconi e i suoi dovrebbero rimangiarsi le assurdità pronunciate
in questi giorni sui magistrati, sugli avversari politici
temporaneamente alleati, sul presidente della repubblica, sullo stato di
diritto e sulla democrazia italiana.
I ministri Pdl dicono che nel chiarimento vogliono «impegni sulla
giustizia». Bene, perfetto. Infatti dovrebbero impegnarsi ad accettare
l’applicazione delle sentenze, e ad affrontare qualsiasi inchiesta
giudiziaria con lo stesso atteggiamento che Berlusconi dichiarò a luglio
(quando pensava che Napolitano l’avrebbe, chissà come, fatto assolvere
in Cassazione): mi difenderò tenendo separati i miei processi dai
destini del governo.
Letta ha convocato i partiti in parlamento, martedì. Sfiderà il Pdl a
rompere davvero, non coi patetici foglietti di dimissioni in mano a
Schifani. Se da quei banchi non si ascolteranno parole solenni di resa
alle regole di una vera democrazia, il cammino delle larghe intese sarà
finito. E non lo deciderà Berlusconi. Lo decideranno Enrico Letta e il
suo partito.
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