I "patrioti" che salvarono «l'italianità della compagnia di
bandiera» ora sono in fuga. E la cordata del Cavaliere è costata
parecchio agli italiani
I capitani coraggiosi sono diventati i capitani fuggitivi.
Stiamo parlando dei “patrioti” che – regnante Berlusconi – salvarono
«l’italianità della compagnia di bandiera», nel più puro stile
berlusconiano. Il cavaliere, con una chiamata, appartenendo alla stessa
schiatta imprenditoriale dei “patrioti” e vantando rapporti
confidenziali e amicali con questo Gotha dell’imprenditoria, mise su la
cordata che avrebbe salvato Alitalia.
Oggi, alla vigilia del consiglio di amministrazione di AirFrance KLM
che potrebbe sancire l’aumento al 50 per cento della quota attualmente
del 25 per cento detenuta dal vettore franco-olandese nel capitale di
Alitalia, vale la pena di fare il punto sulle tormentate vicende della
ex compagnia di bandiera italiana.
Cinque anni fa Berlusconi, per salvare dal dissesto l’azienda, mal
gestita ed oberata da personale superfluo assunto in base a criteri
prettamente clientelari, invece di vendere tout court ai
francesi, mise assieme una cordata “patriottica”, con i soldi dei
contribuenti, alla quale partecipava il salotto buono della
imprenditoria nazionale desiderosa di ottenere benemerenze spendibili al
tavolo della (cattiva) politica.
In questo arco di tempo, i soci non hanno apportato, né avrebbero
potuto farlo, alcun contributo di carattere tecnico e sembrano solo
ansiosi di liberarsi delle rispettive quote, scaduto il periodo di lock
up. Alitalia, dal canto suo, nonostante una massiccia cura dimagrante,
ha macinato ulteriori perdite per 850 milioni ed è gravata da un
indebitamento complessivo di 1 miliardo; continua a perdere quote di
mercato a vantaggio dei vettori low cost e sull’unica tratta veramente
redditizia – Roma/Milano – subisce la concorrenza della Tav.
I “patrioti”, d’altronde, al di là dei guai di Alitalia, devono anche
preoccuparsi delle proprie sgradevoli vicende personali: Riva è alle
prese con il dramma dell’Ilva di Taranto, Caltagirone col porto di
Fiumicino, Ligresti ai domiciliari per l‘affaire Fonsai. Molti di
loro non hanno neanche mai versato neppure la quota del precedente
aumento di capitale di Alitalia. Insomma, se ne vogliono disfare.
Dunque, AirFrance KLM può comprare oggi in saldo quello che avrebbe
dovuto comprare ad un prezzo più congruo anni fa.
Un vero peccato se si pensa che i francesi avevano proposto precedentemente all’allora ministro Padoa Schioppa un investimento su Alitalia pari a un miliardo di euro, l’accollo di tutti i debiti e l’impegno a mantenere l’autonomia della compagnia aerea. Ovviamente, l’ideale sarebbe stato non distruggere Alitalia e non trasformarla in un ammortizzatore sociale per vellicare i bacini elettorali dei nostri politici. Ma questa è un’altra storia.
Un vero peccato se si pensa che i francesi avevano proposto precedentemente all’allora ministro Padoa Schioppa un investimento su Alitalia pari a un miliardo di euro, l’accollo di tutti i debiti e l’impegno a mantenere l’autonomia della compagnia aerea. Ovviamente, l’ideale sarebbe stato non distruggere Alitalia e non trasformarla in un ammortizzatore sociale per vellicare i bacini elettorali dei nostri politici. Ma questa è un’altra storia.
Morale della favola: la cordata del Cavaliere è costata parecchio
agli italiani. Ad iniziare, dagli 800 milioni a fondo perduto che
Berlusconi accordò ai capitani coraggiosi, fino al monopolio della
tratta Milano/Roma, la più lucrosa, concessa al nuovo vettore che, come
sempre, l’hanno pagata i consumatori con tariffe più alte. Quasi una
servitù feudale più che un accordo commerciale.
Che resta? Sperare in AirFrance, che pure ha problemi di suo, ed è
interessata a giocare d’attesa per spuntare un prezzo più basso. Lupi –
bontà sua! – afferma di essere favorevole all’aumento della quota
AirFrance, purché vengano salvaguardati l’”italianità” (sempre lei!), i
livelli occupazionali della compagnia e di Aeroporti di Roma e la
centralità della posizione di Roma nel Mediterraneo.
Insomma, regna il solito italico sciocchezzaio fatto di aria fritta e
luoghi comuni, con in più una certa dose di supponenza, come se fosse
Alitalia a dover rilevare AirFrance e non viceversa.
La verità è che quella operazione è esemplificativa del capitalismo de noantri e del rapporto di collusione fra imprenditoria e politica.
I capitalisti italiani non amano il mercato, preferiscono tessere
relazioni politiche; non competono fra di loro, ma colludono. Le stesse
facce le ritroviamo in tutti i consigli di amministrazione. I capitani
coraggiosi sono concessionari dello stato – quindi la politica vale la
pena tenersela buona – o addirittura co-azionisti di qualche ente
locale, in queste mostruose società pubbliche-private, che operano quasi
sempre in ex monopoli naturali, dove si preferisce spartir rendite
monopolistiche insieme, sulla pelle dei consumatori, piuttosto che
favorire un sistema dove i privati competano e il pubblico faccia il
regolatore neutrale.
Il mitico presidente della Fiat Vittorio Valletta amava ripetere che gli interessi dell’Italia sono quelli della Fiat. Forse, quando capiremo che l’interesse del paese è dato dalla somma di tanti interessi, e non dalla soddisfazione di qualche interesse dominante e privilegiato, quel giorno, il nostro capitalismo sarà migliore.
Il mitico presidente della Fiat Vittorio Valletta amava ripetere che gli interessi dell’Italia sono quelli della Fiat. Forse, quando capiremo che l’interesse del paese è dato dalla somma di tanti interessi, e non dalla soddisfazione di qualche interesse dominante e privilegiato, quel giorno, il nostro capitalismo sarà migliore.
Nessun commento:
Posta un commento