di Francesco Antonio Grana
Il Fatto Quotidiano8 luglio 2013
Durante
l'omelia della messa al campo sportivo dell'isola, Papa Bergoglio ha
attaccato duramente l'atteggiamento disinteressato della gente di fronte
alla tragedia dei migranti morti in mare nel tentativo di raggiungere
le coste italiane
“Chi è il responsabile del sangue
di questi fratelli e sorelle? Nessuno. Tutti noi rispondiamo così: non
sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io”. La condanna di Papa Francesco all’indifferenza davanti alla tragedia degli immigrati morti in mare è arrivata puntuale e durissima, stamane, nell’omelia della messa celebrata a Lampedusa, nel suo primo viaggio apostolico.
“Oggi – ha affermato il Papa – nessuno si sente responsabile di questo;
abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti
nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare,
di cui parla Gesù nella parabola del buon samaritano:
guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse
pensiamo ‘poverino’, e continuiamo per la nostra strada, non è compito
nostro; e con questo ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che
ci porta a pensare a noi stessi, – ha aggiunto Francesco
– ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di
sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile,
del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta
alla globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo
abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa,
non è affare nostro. Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti ‘innominati’, responsabili senza nome e senza volto”.
Francesco
ha incalzato tutti i presenti con un esame di coscienza collettivo.
“Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo? Per la
morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che
erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini?
Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie
famiglie? Siamo una società – ha spiegato il Papa – che ha dimenticato
l’esperienza del piangere, del ‘patire con’: la globalizzazione
dell’indifferenza”. Un vero e proprio mea culpa
quello pronunciato a Lampedusa da Francesco. “Tanti di noi, mi includo
anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui
viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e
non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando
questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a
tragedie come quella a cui abbiamo assistito”. “Domandiamo al Signore
– è la preghiera del Papa – la grazia di piangere sulla nostra
indifferenza, sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro
che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la
strada a drammi come questo”.
Francesco ha voluto esprimere anche “gratitudine” e “incoraggiamento” agli abitanti di Lampedusa e Linosa,
alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza che hanno
mostrato attenzione agli immigranti. “Voi – ha detto loro il Papa –
siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà“. Un altro pensiero di gratitudine Bergoglio lo ha rivolto ai “cari immigrati musulmani che stanno iniziando il digiuno di Ramadan,
con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa – ha detto
loro – vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le
vostre famiglie”.
Per un giorno un’anonima Fiat Campagnola
targata 081268 MI, offerta da un milanese che da vent’anni è di casa a
Lampedusa, è diventata la celebra papamobile SCV1. Nelle mani di Papa
Francesco, del Pontefice argentino che vuole “una Chiesa povera e per i
poveri” e che da arcivescovo di Buenos Aires celebrava
spesso messe in strada con gli ultimi della sua grande diocesi, un
calice e una croce astile realizzati con il legno dei barconi che
trasportano a Lampedusa migliaia di immigrati. Ma molto spesso trovano
la morte durante il lungo viaggio della speranza prima di arrivare alla “Porta d’Europa“. Dal 1999 al 2012 nell’isola siciliana sono sbarcate 200mila persone. Dall’inizio del 2013 a oggi gli arrivi sono stati 4mila.
“Il Papa è andato a Lampedusa per piangere i morti”, ha spiegato ai giornalisti il suo segretario particolare, il maltese monsignor Alfred Xuereb.
Francesco, infatti, profondamente toccato dal recente naufragio di
un’imbarcazione che trasportava migranti provenienti dall’Africa, ultimo
di una serie di analoghe tragedie, ha voluto pregare per coloro che
hanno perso la vita in mare, visitare i superstiti e i profughi
presenti, incoraggiare gli abitanti dell’isola e fare appello alla
responsabilità di tutti affinché ci si prenda cura di questi fratelli e
sorelle in estremo bisogno. “Quando alcune settimane fa – ha confidato
ai presenti Bergoglio – ho appreso questa notizia, che purtroppo tante
volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una
spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo
venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta”.
Una visita discreta senza i vescovi della Sicilia e i rappresentati del Governo italiano:
è lo stile di Francesco che vuole davvero abbracciare gli ultimi. Nella
sua vita Bergoglio non aveva mai messo piede in Sicilia. “Conosco la
vostra isola – aveva confidato qualche settimana fa ai vescovi della
Regione – solo attraverso il film Kaos dei fratelli Taviani“.
Non è un caso, dunque, se Francesco ha voluto che fosse Lampedusa il
suo primo viaggio da Papa. Un segno che nel suo pontificato gli ultimi
saranno davvero primi.
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