Non c’è antipolitica nella decisione del papa di non volere la presenza delle autorità a Lampedusa
È stata una scossa per tutti questa visita del papa a Lampedusa.
Ti chiedi perché e non sai rispondere. Dopotutto ha detto le parole del Vangelo: dove sei, Adamo?, dov’è tuo fratello Caino?, dov’è il sangue di tuo fratello? E poi l’ha fatto con semplicità come fa tutte le domeniche. Appunto. A me pare che ciò che sorprende in questo papa è la naturalezza del suo cristianesimo.
Un’esperienza vissuta e viva, non necessariamente da raccontare poiché semplicemente visibile. Eppure a Lampedusa c’era qualcosa in più. Non la novità di una predilezione per gli ultimi, esperienza quotidiana per tanti preti suore e volontari che nel silenzio spezzano il pane con i più poveri e bisognosi.
Ma la novità rappresentata dal fatto che al capo umano della Chiesa a un certo punto non è bastato più incoraggiare quanti fanno la scelta degli ultimi, ha avvertito la necessità di condividere questa esperienza (una necessità “psichica” e anche “cardiaca”), di essere fisicamente lì dove si soffre il rifiuto (dove sei?), di chiedere personalmente perdono per tutti gli errori di tutti gli uomini che si voltano dall’altra parte (sono io il custode di mio fratello?), in particolare di quanti hanno preso o non preso le decisioni che sono alla base di tanta ingiustizia. Aveva bisogno di aiutare tutti e ognuno a risvegliare la propria coscienza, di aiutarli a reimparare ad ascoltare, a reagire, a intervenire, a commuoversi, a piangere.
Se voleva scuotere dal torpore e dall’indifferenza c’è riuscito. Ad un certo punto Francesco ha parlato della «globalizzazione dell’indifferenza»: un muro insuperabile, perché non sai più che fare, cosa sperare, in che credere, a chi affidarti, perché ovunque ti giri trovi solo indifferenza. Questo è il mutamento culturale e antropologico più drammatico. La globalizzazione dello stesso sentimento, anzi della assenza di sentimento.
Dopo questa “solenne” e allo stesso tempo semplicissima certificazione, mi è venuto in mente che i tanti preti “marginali”, quelli che da una vita stanno dalla parte degli ultimi, non dovranno più giustificare il loro radicalismo evangelico, la loro intransigenza caritativa, il supposto moralismo, l’impoliticità, ma dovranno essere gli altri a farlo, i cosiddetti “realisti”. Un amico mi ha detto: non ti illudere, ci saranno sempre coloro che consigliano prudenza, i papi passano… Eppure io ci credo.
Non penso a cambiamenti rapidi, ma a un cambio di direzione. A un inizio di attenzione nuova nella ma anche verso la Chiesa e soprattutto il Vangelo. Viviamo tempi in cui l’unica comunicazione che passa, cioè che arriva al cuore dell’uomo, è quella dei gesti, dei fatti, dei comportamenti coerenti. È significativo che solo tre giorni dopo l’enciclica Lumen Fidei, pur bella e importante, la gente parli non di quella ma di Lampedusa, di quel pastorale fatto di due bastoni incrociati a cui si appoggiava il papa, del colore viola dei paramenti, del saluto ai musulmani all’inizio del Ramadan, dei due chierichetti al posto di imbalsamati prelati a fianco del papa all’altare, dei giovani di colore che piangevano dalla commozione, di una liturgia spogliata delle tre file di “posti riservati”. Alle autorità ovviamente.
Non che le autorità debbano scomparire, anzi, ci saranno occasioni in cui dovranno essere ben presenti agli occhi del papa, ma normalmente – mi pare che questo sia il senso dell’assenza in questa – deve essere chiaro non un atteggiamento antipolitico (che sarebbe grave) da parte della Chiesa, ma semplicemente di separazione, di distinzione. E così, giorno dopo giorno, il pontificato di Francesco lascia segni nuovi. Auguriamoci che siano anche indelebili.
Europa - 9/07/2013
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