Riccardo
Imberti
Questi
sono giorni di fibrillazione per la politica. In un tempo in cui la
comunicazione avviene in tempo reale, siamo inondati da notizie che
vanno dalla politica nazionale a quella internazionale e diventa
difficile, almeno per me, mettere a fuoco un'idea progettuale che
sappia coniugare l'ispirazione con la proposta. Credo che vi sia la
necessità di riflettere ancora qualche giorno prima di esprimere
pareri sul quadro nazionale, non tanto per le “minacce” di Mario
Monti, quando perchè si chiarisca il quadro dentro il Partito
Democratico e si capisca quanto le condanne a Berlusconi siano
sopportate dagli ayatollah del pdl.
In
questa pausa “nazionale” ho scelto di esprimere alcune modeste
considerazioni, sul quadro internazionale.
Qualche
tempo fa l'Associazione Gervasio Pagani ebbe la fortuna di invitare
ad un incontro a Coccaglio, Abuna Ibraim Faltas, Francescano della
Custodia di Terrasanta, una serata indimenticabile sia per le parole
introduttive di don Fabio Corazzina, che per la provocante
comunicazione di padre Ibraim.
Erano
i giorni delle primavere arabe e essendo Ibraim un egiziano, disse
senza mezzi termini che quello che stava avvenendo in Egitto era il
preludio per l'ascesa al potere dei Fratelli Musulmani appoggiati dai
Salafiti e quindi, il risultato sarebbe stato l'islamizzazione di
quel Paese. Ricordo che in quell'occasione non pochi dei presenti
contestarono questa sua versione dei fatti, io stesso dimostrai delle
perplessità. Oggi quelle parole si sono dimostrate profetiche. Ciò
che sta accadendo in questi giorni in Egitto rivela quanta verità
era contenuta in quella comunicazione,al tempo stesso, quanta
distanza vi era tra la nostra lettura dei fatti mediorientali e ciò
che effettivamente stava accadendo.
In
questi giorni il nostro presidente del consiglio Enrico Letta sta in
visita in Israele e Palestina; la politica estera italiana è da
tempo che tace e va a ruota degli Stati Uniti e dell'Europa. Mi
auguro che Letta sappia rilanciare il ruolo del nostro Paese in
quell'area così complicata e difficile. Sappia cioè dimostrare di
scegliere la pace. La nostra storia ce lo consentirebbe (questa
maggioranza probabilmente no).
Letta
lo sa, lavorare per la pace, significa rilanciare i colloqui tra
arabi e israeliani e riprendere quel processo interrotto, con
l'assassinio di Rabin; lavorare per la pace significa indicare una
strada possibile per definire l'assetto di quell'area, mettere fine
all'arroganza israeliana degli insediamenti e dell'ampliamento del
muro; lavorare per la pace significa dare una risposta al popolo
palestinese che ha il diritto di avere un proprio stato ma
soprattutto la propria libertà.
Non
è un'impresa facile e anche questo Letta sa, ma sa anche che il
conflitto Mediorientale ci riguarda, perchè mette a dura prova
l'area Mediterranea, un'area che ha sempre rappresentato per il
nostro Paese un bacino di relazioni culturali politiche ed economiche
di grande interesse. A me basterebbe che alcuni impegni il governo
Italiano li prendesse con Abu Mazen, che si prestasse a favorire un
percorso di dialogo che resta la strada maestra per ogni soluzione in
quel difficile contesto.
Chi
come me, ha occasione di frequentare quei luoghi, vive sulla propria
pelle la sofferenza di un popolo che è relegato in una grande
prigione a cielo aperto. Spesso immagino quanto valore abbia per noi
vivere in un continente, l'Europa, nel quale si viaggia senza confini
e senza muri. Essendo figlio di una storia fatta di lotte per la
libertà e per i diritti umani, sento forte la necessità che il
nostro Paese, l'Europa, si spenda di più e con maggiore
determinazione per dare una soluzione accettabile al popolo
Palestinese.
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