Adesso, basta. Quando è troppo è troppo. Ma che vogliono ancora,
dal Pd, questi mezzi capicorrente, vecchi-vecchi e giovani-vecchi,
del Pd?
Gli stessi che hanno portato il centrosinistra alla peggiore
disfatta della storia d'Italia. Gli stessi che sono riusciti a
sbagliare un rigore a porta vuota. Gli stessi che hanno portato il
Pd a spiaggiarsi come le balene, quando davanti aveva l'Oceano.
Gli stessi che, mentre dal centrodestra scappavano a gambe levate
9 milioni di elettori, uno su due, sono riusciti a perdere più di 3
milioni, uno su quattro, dei voti che il Pd di Veltroni aveva
portato a casa nel 2008, contro un Berlusconi allora invincibile.
Gli stessi che hanno avuto, per quattro anni, i pieni poteri, sul
partito, sui gruppi parlamentari, sulle candidature, per fare il
partito tradizionale, simil-Pci, che vive nei loro sogni e nelle
loro nostalgie e sono riusciti a produrre solo l'incubo del
correntismo più esasperato e degenerato.
Gli stessi che hanno predicato per anni contro la
personalizzazione della politica e l'uomo solo al comando, mentre
spendevano milioni di euro per tappezzare l'Italia di gigantografie
in formato berlusconiano che ritraevano un signore in maniche
(rimboccate) di camicia, peraltro in pieno inverno.
Gli stessi che hanno demonizzato la vocazione maggioritaria,
fondata sull'unità dei riformisti, e imposto l'alleanza tra
progressisti e moderati, e poi si sono persi per strada i moderati e
ci hanno lasciati soli con Vendola, a fare i progressisti come nel
1994.
Gli stessi che hanno condotto in maniera catastrofica la
strategica partita del Quirinale, cambiando tre linee politiche in
tre giorni, e alla fine ci hanno spiegato che in fondo non è stato
un male se il fondatore dell'Ulivo non è stato eletto, perché con
lui al Colle avremmo rischiato la guerra civile.
Gli stessi che per mesi si sono rifiutati di guardare in faccia
la realtà e di chiamare sconfitta la sconfitta, hanno detto no ad
un governo del presidente in nome di un immaginario governo del
cambiamento, alla fine si sono accomodati in massa sulle poltrone
del governo di larghe intese e ora ci spiegano sorridenti, dalle
pagine patinate del settimanale di casa Berlusconi, che tra noi e
Brunetta non ci sono, in fondo, grandi differenze...
Adesso, basta. Lasciateci fare il Congresso, nei tempi e nei modi
previsti dallo Statuto. Che non può essere oggetto di questo
incredibile e ormai scandaloso tira e molla, fuori tempo e fuori
luogo.
Presentate un vostro documento politico (uno, non dieci, lo dico
per voi) e scegliete un candidato segretario (uno, non dieci, sempre
nel vostro interesse). E lasciateci presentare un nostro documento e
un nostro candidato: Matteo Renzi, per esempio. Lasciateci dire, a
voce alta e a viso aperto, come è nel nostro stile da sempre, che
questo è il miglior antidoto al correntismo, che vive di
accomodamenti proporzionalistici, tendenzialmente notturni, tra
componenti sempre più frammentarie, e rifugge invece dal confronto
solare tra alternative chiare, tra le quali si ingaggi una
competizione leale, ferma restando per vincitori e vinti la piena
cittadinanza nel partito che è casa comune.
Lasciateci dire che noi vogliamo un Pd riformista, come quello
delineato tra il Lingotto e la Leopolda, perché l'Italia ha bisogno
di riforme, non di piccoli aggiustamenti. Che vogliamo un Pd a
vocazione maggioritaria, perché ci sono milioni di italiani, operai
e artigiani, contadini e commercianti, casalinghe e imprenditori,
che ieri non ci hanno votato e possono invece votarci oggi. Che
vogliamo un Pd guidato da un leader, scelto democraticamente dalla
platea più ampia di iscritti ed elettori del Pd, e che come tale,
come accade in tutti i paesi europei, sia anche il nostro candidato
a guidare il governo del paese. Che il governo Letta non ha nulla da
temere da un Pd pronto alla battaglia elettorale, che è anzi il
miglior deterrente contro colpi di testa berlusconiani e dunque il
più potente fattore di stabilità.
E lasciateci dire che nessuno più di noi sostiene il governo di
necessità, a due sole condizioni: il governo faccia le riforme,
istituzionali ed economiche, che servono al paese e che solo un Pd
genuinamente riformista può sostenere; e non ci si chieda di
ripensare il Pd su misura del governo di necessità, perché questo
vorrebbe dire che governare con Alfano è diventata la proposta
politica ed elettorale del Pd. Adesso, basta.
Adesso,
basta. Quando è troppo è troppo. Ma che vogliono ancora, dal Pd, questi
mezzi capicorrente, vecchi-vecchi e giovani-vecchi, del Pd?
Gli stessi che hanno portato il centrosinistra alla
peggiore disfatta della storia d'Italia. Gli stessi che sono riusciti a
sbagliare un rigore a porta vuota. Gli stessi che hanno portato il Pd a
spiaggiarsi come le balene, quando davanti aveva l'Oceano.
Gli stessi che, mentre dal centrodestra scappavano a
gambe levate 9 milioni di elettori, uno su due, sono riusciti a perdere
più di 3 milioni, uno su quattro, dei voti che il Pd di Veltroni aveva
portato a casa nel 2008, contro un Berlusconi allora invincibile.
Gli stessi che hanno avuto, per quattro anni, i pieni
poteri, sul partito, sui gruppi parlamentari, sulle candidature, per
fare il partito tradizionale, simil-Pci, che vive nei loro sogni e nelle
loro nostalgie e sono riusciti a produrre solo l'incubo del correntismo
più esasperato e degenerato.
Gli stessi che hanno predicato per anni contro la
personalizzazione della politica e l'uomo solo al comando, mentre
spendevano milioni di euro per tappezzare l'Italia di gigantografie in
formato berlusconiano che ritraevano un signore in maniche (rimboccate)
di camicia, peraltro in pieno inverno.
Gli stessi che hanno demonizzato la vocazione
maggioritaria, fondata sull'unità dei riformisti, e imposto l'alleanza
tra progressisti e moderati, e poi si sono persi per strada i moderati e
ci hanno lasciati soli con Vendola, a fare i progressisti come nel
1994.
Gli stessi che hanno condotto in maniera catastrofica
la strategica partita del Quirinale, cambiando tre linee politiche in
tre giorni, e alla fine ci hanno spiegato che in fondo non è stato un
male se il fondatore dell'Ulivo non è stato eletto, perché con lui al
Colle avremmo rischiato la guerra civile.
Gli stessi che per mesi si sono rifiutati di guardare
in faccia la realtà e di chiamare sconfitta la sconfitta, hanno detto no
ad un governo del presidente in nome di un immaginario governo del
cambiamento, alla fine si sono accomodati in massa sulle poltrone del
governo di larghe intese e ora ci spiegano sorridenti, dalle pagine
patinate del settimanale di casa Berlusconi, che tra noi e Brunetta non
ci sono, in fondo, grandi differenze...
Adesso, basta. Lasciateci fare il Congresso, nei tempi e
nei modi previsti dallo Statuto. Che non può essere oggetto di questo
incredibile e ormai scandaloso tira e molla, fuori tempo e fuori luogo.
Presentate un vostro documento politico (uno, non
dieci, lo dico per voi) e scegliete un candidato segretario (uno, non
dieci, sempre nel vostro interesse). E lasciateci presentare un nostro
documento e un nostro candidato: Matteo Renzi, per esempio. Lasciateci
dire, a voce alta e a viso aperto, come è nel nostro stile da sempre,
che questo è il miglior antidoto al correntismo, che vive di
accomodamenti proporzionalistici, tendenzialmente notturni, tra
componenti sempre più frammentarie, e rifugge invece dal confronto
solare tra alternative chiare, tra le quali si ingaggi una competizione
leale, ferma restando per vincitori e vinti la piena cittadinanza nel
partito che è casa comune.
Lasciateci dire che noi vogliamo un Pd riformista, come
quello delineato tra il Lingotto e la Leopolda, perché l'Italia ha
bisogno di riforme, non di piccoli aggiustamenti. Che vogliamo un Pd a
vocazione maggioritaria, perché ci sono milioni di italiani, operai e
artigiani, contadini e commercianti, casalinghe e imprenditori, che ieri
non ci hanno votato e possono invece votarci oggi. Che vogliamo un Pd
guidato da un leader, scelto democraticamente dalla platea più ampia di
iscritti ed elettori del Pd, e che come tale, come accade in tutti i
paesi europei, sia anche il nostro candidato a guidare il governo del
paese. Che il governo Letta non ha nulla da temere da un Pd pronto alla
battaglia elettorale, che è anzi il miglior deterrente contro colpi di
testa berlusconiani e dunque il più potente fattore di stabilità.
E lasciateci dire che nessuno più di noi sostiene il
governo di necessità, a due sole condizioni: il governo faccia le
riforme, istituzionali ed economiche, che servono al paese e che solo un
Pd genuinamente riformista può sostenere; e non ci si chieda di
ripensare il Pd su misura del governo di necessità, perché questo
vorrebbe dire che governare con Alfano è diventata la proposta politica
ed elettorale del Pd. Adesso, basta.
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