mercoledì 2 ottobre 2013

Bipolarismo addio?

Mario Lavia 

Europa  

Se si frantuma la destra priva del capo di Arcore cade uno dei pilastri della Seconda repubblica. Un problema per il Pd che Renzi ha in testa
E se l’acqua sporca di Berlusconi si portasse via il bambino del bipolarismo?
Poiché tout se tient, d’altra parte sarebbe persino logico: un sistema politico non più dominato dalla figura del Cavaliere significherebbe il venir meno di uno dei due pilastri della Seconda repubblica (e lasciamo qui stare che il secondo – l’Ulivo, l’Unione, il centrosinistra, il Pd – è sempre parso traballare). Per cui addio bipolarismo.
Sì, c’è aria di proporzionale. Ma di proporzionale vero. Senza premio di maggioranza. A rischio-ghigliottina da parte della corte costituzionale, come vedremo.
Comunque il processo politico in atto segnala rischi di frantumazione e incertezza di leadership, tentazioni neocentriste, grandi ritorni del “professionismo politico” ed evidenti tentazioni trasformistiche.
È la politica, bellezza, si dirà. Ed è un fatto che, comunque vada a finire la guerriglia di questi giorni, si sia messo in moto un movimento tellurico che mina l’assolutismo berlusconiano. Molti segni confermano, in questo quadro,  che il sistema politico della Seconda repubblica ha i mesi contati.
Partiamo dalla legge elettorale. «Se la Corte, che però deve ancora esprimersi sulla ammissibilità del ricorso, dovesse far venire meno il premio di maggioranza il sistema bipolare tenderebbe a sgretolarsi, questo è certo», dice il costituzionalista Augusto Barbera. Il 3 dicembre inizia l’esame della questione, la decisione – se ci sarà: il ricorso potrebbe essere dichiarato inammissibile – per fine gennaio.
La commissione Affari costituzionali del senato ha iniziato a discutere. Ma il punto di mediazione finale quale sarà? La proposta dei “saggi” – mutuata da Violante: proporzionale e eventuale ballottaggio fra i primi due blocchi per ottenere la maggioranza – potrebbe prendere la strada del cestino perché presuppone, come ogni sistema a doppio turno, due grandi partiti o coalizioni: ipotesi negata dall’avvento di un “clima” neo-proporzionalista. Per paradosso, il maieuta dei “saggi”, Gaetano Quagliariello, viene indicato oggi come uno dei capi di un nuovo partito centrista che sorgerebbe dalle ceneri del Pdl, e dunque in conflitto con la sua cultura maggioritaria.
Viene dunque non difficile immaginare un sistema politico formato da tanti partiti e partitini, come ai bei tempi – solo che allora a modo suo funzionava la conventio ad excludendum che in un modo o nell’altro garantiva una governabilità costruita attorno al “sole” della Dc. Tutt’al più ci sarebbe lo sbarramento a impedire l’ingresso in parlamento di formazione troppo piccole. Ma la mentalità del sistema cambierebbe. Non più uno contro l’altro, ma tutti contro tutti.
Il frantumarsi della destra conseguente al superamento di fatto della centralità assoluta di Berlusconi implicherà la fine del bipolarismo, o dei conati di bipolarismo. «È vero che Berlusconi ha saputo unire la destra ma ne è stato un pilastro anomalo, “l’incidente” del bipolarismo. Lo ha fatto nascere ma lo ha anche avvelenato», spiega Barbera.
Potremmo essere alla vigilia di un mutamento non solo politico ma di sistema. In cui potrebbero   aprirsi spazi persino per la formazione di gruppi e partiti di destra-destra. E ovviamente di centro. Di vario tipo. Il grande magma cattolico-tecnocratico-industriale, dopo il sostanziale fallimento del montismo politico, dell’esaurimento dell’Udc e del mai avvenuto compiersi dell’ipotesi montezemoliana, è alla ricerca di una nuova Cosa. L’afflusso di sangue di matrice ciellina potrebbe rappresentare quel toccasana in grado di dare vigore ad una nuova creatura centrista e non per caso in questo frangente si stanno muovendo potenti forze sia di matrice economica che religiose: Oltretevere si guarda con interesse al processo di progressiva disgregazione del berlusconismo.
Oggi la cosa si vede a occhio nudo: era vero che da quella parte il tutto e il contrario di tutto – socialisti e neofascisti, leghisti e potentati meridionali, liberali e teocon – si tenevano insieme grazie al collante formidabile del superleader di Arcore. Tutto finito, o sul punto di finire. Liberi tutti.
Il problema cade sulla testa del Pd, dove peraltro allignano da sempre quelle diverse “sensibilità” – le avrebbe definite Togliatti – affezionate al modello proporzionalista che in queste ore sono state super-attive nell’affastellare voti parlamentari intorno al governo Letta.
Ma l’altro grande filone democratico, la dorsale ulivismo-prodismo-veltronismo-renzismo, cioè la teorizzazione progressista della democrazia bipolare, dell’alternanza nel segno di una politica più legata alla limpidezza del racconto politico ostile bizantinismi della politique politicienne, che fine fa? La domanda si pone, e non riguarda certo una questione di filosofia politica ma il cuore della sensibilità istituzionale del probabile leader del Pd che nel suo dna ha la cultura del sindaco d’Italia e un respiro persino bipartitico. Come si muoverebbe, Renzi, in un quadro neo-proporzionale nel quale probablmente riprenderebbero vigore spinte e controspinte del variegato e allegro mondo della sinistra italiana? Domande che sono sullo sfondo, oggi, mentre la battaglia non è affatto conclusa. Ma vanno tenute a mente, per il domani.

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