mercoledì 2 ottobre 2013

Abolire il Senato con un referendum (in Irlanda fanno così)

Lorenzo Biondi 

Europa  
 
Il 4 ottobre i cittadini irlandesi votano sull'abolizione della camera alta del parlamento. Un referendum voluto dagli stessi partiti di governo  

Sintesi di cinque anni d’Irlanda: la crisi finanziaria colpisce (e colpisce duro), s’alza l’onda antipolitica, la politica promette contromisure, a partire dai famigerati (anche in Irlanda) costi della politica. Si è arrivati così al referendum di venerdì prossimo, 4 ottobre, sull’abolizione del Seanad, la camera alta del parlamento irlandese. Convocato dal governo di coalizione trai conservatori di Enda Kenny e i laburisti di Eamon Gilmore, che invitano a votare sì all’abolizione.
E pare proprio che il governo si avvii verso una vittoria. Gli argomenti per il sì sono semplici, semplicissimi: costa troppo ed è inutile. E in effetti nel bicameralismo molto imperfetto della Repubblica d’Irlanda i poteri del senato sono davvero limitati, niente a che vedere col bicameralismo all’italiana. In sostanza può solo rispedire una legge alla camera per una seconda lettura, senza disporre di un vero potere di veto.
Oltretutto questa forma di “navetta” non viene usata dal 1964. Il senato non viene eletto direttamente dai cittadini, ma viene scelto in massima parte dai deputati della Dáil, la camera bassa, che scelgono 43 dei 60 senatori. Altri undici li nomina il primo ministro, solo sei vengono eletti dai laureati delle grandi università, come rappresentanti del mondo della cultura. Va da sé, allora, che la maggioranza dei seanadóirí è sempre allineata col governo.
L’eliminazione della camera alta, insomma, non dovrebbe rappresentare un grosso problema per la democrazia irlandese. Il progetto di riforma costituzionale su cui gli irlandesi sono chiamati a votare contiene già alcuni “correttivi” per limitare i poteri della maggioranza che controlla la Dáil. Ad esempio per rimuovere un giudice costituzionale ci vorrà una maggioranza qualificata di due terzi dei deputati (e non più la maggioranza semplice in entrambe le camere). Aggiustamenti di poco conto.
I sondaggi assegnano al sì percentuali comprese tra il 60 e il 75 per cento, non ci dovrebbero essere sorprese. Le prossime elezioni politiche si giocheranno, ancora una volta, sull’austerità. Enda Kenny potrà sbandierare di aver fatto risparmiare, grazie al referendum, oltre 20 milioni all’anno alle casse dello stato. E i collaudatissimi politici dei partiti di governo potranno presentarsi alle urne al grido di «meno politici».

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