Il 4 ottobre i cittadini irlandesi votano sull'abolizione della
camera alta del parlamento. Un referendum voluto dagli stessi partiti di
governo
Sintesi di cinque anni d’Irlanda: la crisi finanziaria colpisce
(e colpisce duro), s’alza l’onda antipolitica, la politica promette
contromisure, a partire dai famigerati (anche in Irlanda) costi della
politica. Si è arrivati così al referendum di venerdì prossimo, 4
ottobre, sull’abolizione del Seanad, la camera alta del
parlamento irlandese. Convocato dal governo di coalizione trai
conservatori di Enda Kenny e i laburisti di Eamon Gilmore, che invitano a
votare sì all’abolizione.
E pare proprio che il governo si avvii verso una vittoria. Gli
argomenti per il sì sono semplici, semplicissimi: costa troppo ed è
inutile. E in effetti nel bicameralismo molto imperfetto della
Repubblica d’Irlanda i poteri del senato sono davvero limitati, niente a
che vedere col bicameralismo all’italiana. In sostanza può solo
rispedire una legge alla camera per una seconda lettura, senza disporre
di un vero potere di veto.
Oltretutto questa forma di “navetta” non viene usata dal 1964. Il
senato non viene eletto direttamente dai cittadini, ma viene scelto in
massima parte dai deputati della Dáil, la camera bassa, che
scelgono 43 dei 60 senatori. Altri undici li nomina il primo ministro,
solo sei vengono eletti dai laureati delle grandi università, come
rappresentanti del mondo della cultura. Va da sé, allora, che la
maggioranza dei seanadóirí è sempre allineata col governo.
L’eliminazione della camera alta, insomma, non dovrebbe rappresentare
un grosso problema per la democrazia irlandese. Il progetto di riforma
costituzionale su cui gli irlandesi sono chiamati a votare contiene già
alcuni “correttivi” per limitare i poteri della maggioranza che
controlla la Dáil. Ad esempio per rimuovere un giudice
costituzionale ci vorrà una maggioranza qualificata di due terzi dei
deputati (e non più la maggioranza semplice in entrambe le camere).
Aggiustamenti di poco conto.
I sondaggi assegnano al sì percentuali comprese tra il 60 e il 75 per
cento, non ci dovrebbero essere sorprese. Le prossime elezioni
politiche si giocheranno, ancora una volta, sull’austerità. Enda Kenny
potrà sbandierare di aver fatto risparmiare, grazie al referendum, oltre
20 milioni all’anno alle casse dello stato. E i collaudatissimi
politici dei partiti di governo potranno presentarsi alle urne al grido
di «meno politici».
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