Massimo Gramellini
La Stampa 1 marzo 2014
Come tutti coloro che da Renzi si aspettavano il governo dei
fuoriclasse – se non Baricco Guerra e Farinetti, almeno Gratteri – ero
rimasto un po’ deluso dalla lista dei ministri. Ma mi sbagliavo. Quella
lista aveva un suo fascino, se paragonata a quella dei sottosegretari.
Dai, mi dicevo, vorrai mica che alla Giustizia rimettano un
berlusconiano di ferro? Infatti ne hanno messo uno di Ferri. Cosimo
Maria Ferri, affiancato da un’altra figura neutrale: il relatore del
lodo Alfano. Però il senatore Tonino Gentile, no. Si deve trattare di un
refuso. Mai e poi mai il Renzi che conosco farebbe salire a bordo un
signore accusato, non più tardi del 19 febbraio scorso, di avere
impedito l’uscita di un giornale. Il direttore e l’editore dell’Ora
della Calabria sostengono di avere ricevuto pressioni per interposta
persona affinché fosse estirpata la notizia di un’indagine che
riguardava il figlio del senatore. Il «mediatore» avrebbe spiegato ai
giornalisti riottosi che «il cinghiale quando viene ferito, ammazza
tutti». Un linguaggio che, più che i documentari di Quark, richiama i
dialoghi del Padrino.
Il giornale non uscì, a causa di una misteriosa rottura della
rotativa. Cose che capitano. Mentre non può capitare che, appena dieci
giorni dopo, la persona su cui aleggia un sospetto simile venga nominata
sottosegretario. E nemmeno all’Editoria, settore col quale parrebbe
avere una certa dimestichezza. Alle Infrastrutture, pozzo senza fondo di
appalti pubblici. Dottor Renzi, sia gentile con Gentile e lo accompagni
all’uscita. Ci ha promesso che con lei l’Italia cambierà verso. Non che
ci andrà di traverso.
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