Né sul Salva-Roma né sulle tasse locali il governo Renzi parte col
botto. In compenso nei ruoli chiave su economia e lavoro vanno
personalità di peso.
Non esistono governi perfetti, e sono molto rari i momenti
magici. I primi tre passi del governo Renzi non sono da stropicciarsi
gli occhi, ma solo chi fosse in malafede potrebbe fare una colpa della
prudenza con la quale l’ex sindaco di Firenze affronta i guai dei suoi
ex colleghi.
Così abbiamo un decreto Salva-Roma riproposto senza imporre a Marino
alcun particolare percorso di guerra (altro discorso riguarda il futuro
politico del sindaco capitolino, a dir poco compromesso). Abbiamo il via
libera all’aumento della Tasi fino allo 0,8 per mille, che nonostante
ogni discorso sulla rimodulazione di altre imposte è difficile far
passare come un abbassamento delle tasse. E abbiamo quel discorso fatto
dal premier ai sindaci veneti, nel quale il promesso potente intervento
di edilizia scolastica si riduce alla ristrutturazione di una scuola per
comune (metropoli comprese), «con procedura d’urgenza sempre che me lo
facciano fare».
Ma siamo appena al primo consiglio dei ministri esecutivo, si tratta
ancora di mettere pezze a situazioni d’emergenza ovviamente ereditate
dal passato. Sul Salva-Roma molti si aspettavano di più in termini di
discontinuità, dopo le feroci polemiche di fine anno e quelle degli
ultimi giorni: attenzione però, lo stato delle finanze capitoline è
sicuramente perfin peggiore di quello che risulta pubblicamente, e Roma
non è una città con la quale si possano fare a cuor leggero esperimenti
di radicalismo liberale, sicuramente giusti e ancor più sicuramente
sanguinosi.
Il conforto viene dal completamento della squadra di governo, con gli indispensabili e decisivi vice-ministri e sottosegretari.
È ovvio che nella selezione dei 44 nomi saranno stati commessi
errori, che verranno subito fuori, mentre qualcuno si sentirà
ingiustamente escluso. Se però guardiamo ai ruoli chiave, alle
postazioni cruciali per affrontare la crisi economica che si sostanzia
con dati spaventosi sulla disoccupazione, i nomi sono quelli giusti. Tra
economia, lavoro, welfare e sviluppo economico troviamo innanzi tutto
Enrico Morando (liberal di ferro, antica passione del premier, maestro
nella predisposizione dei provvedimenti, autore di una Agenda per Renzi pubblicata da Europa) e poi tra gli altri novità e conferme incoraggianti da De Vincenti a Casero, da Baretta a Legnini, da Bobba a Giacomelli.
Nel complesso, Matteo Renzi ha catapultato nel governo tanto Pd
quanto non ce n’è mai stato prima, come quantità e come qualità. Se i
primi passi sono prudenti, quando arriveranno quelli rischiosi non sarà
lui da solo a compierli e a risponderne.
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