venerdì 24 gennaio 2014

Un buon risultato politico




Alfredo Bazoli
Gazebos 22 gennaio 2014
Diciamoci la verità, alcune ragioni di perplessità e dissenso rispetto alla proposta di accordo sulle riforme conclusa da Renzi, e in particolare sulla legge elettorale, sono ragionevoli e fondate.
E' vero infatti che la legge profilata presenta alcuni aspetti critici, che sono stati messi in evidenza dagli esperti ed osservatori più attenti, tra cui la soglia per accedere al premio di maggioranza, all'evidenza molto (troppo) bassa, con conseguente distorsione possibile del risultato elettorale eccessiva, e il sistema di riparto dei seggi su base nazionale, che contraddice e vanifica gli aspetti positivi dei collegi di piccola dimensione, rendendo incerta l'attribuzione di seggi e così meno solido il rapporto tra eletto ed elettore.
Si tratta di una ipotesi che presenta anche evidenti aspetti positivi, dei quali i più rilevanti io credo siano soprattutto il fatto di garantire un vincitore, anche tramite il ballottaggio, e la previsione di soglie di sbarramento significative, che impediscono la polverizzazione delle rappresentanze parlamentari e il ricatto permanente delle piccole formazioni.

Ma sarebbe davvero sbagliato misurare e giudicare l'iniziativa di Renzi solo sulla valutazione analitica e un po' tecnicista dei pregi e difetti del nuovo sistema elettorale proposto. L'aspetto più rilevante, a mio avviso, e ciò che disvela l'enorme pregio del risultato politico ottenuto, almeno fin qui, e' il fatto di aver riportato dentro una ipotesi di collaborazione alle riforme Forza Italia, e così aver nuovamente reso possibile l'obiettivo di questa legislatura nata zoppa, ovvero le riforme istituzionali e di sistema.
Perché è inutile nasconderselo, senza Forza Italia, senza i suoi voti decisivi al Senato, sarebbe forse stato possibile approvare una nuova legge elettorale, ma di certo sarebbe stata impossibile qualunque modifica costituzionale, ed in particolare quelle da tutti condivise come la modifica del bicameralismo perfetto e un robusto aggiornamento del modello regionale.
Non sfugge a nessuno, infatti, che una riforma del senato che comporti una modifica radicale del suo ruolo, la sua trasformazione in camera delle autonomie con il venir meno del rapporto fiduciario col governo, e la conseguente cessazione dell'elezione dei suoi membri, ha ben poche chance di essere approvata con i numeri risicati della maggioranza attuale, tanto più se si pensa che il regolamento del Senato prevede il voto segreto per le leggi costituzionali.
Ed è allora proprio su questo terreno, a me pare, che si misura più correttamene il significato dell'operazione politica conclusa da Renzi, che comporta di rendere nuovamente percorribile, nei tempi compressi che la situazione del nostro paese esige, quelle riforme di sistema non più eludibili, che possono consentire di sciogliere i grumi e i nodi istituzionali che oggi rendono ingovernabile l'Italia.
Un obiettivo fondamentale per ridare dignità ad una politica svilita ed apparentemente impotente di fronte al declino del paese, per rispondere alla crisi di fiducia mai così profonda tra opinione pubblica e classe dirigente, per sgonfiare le ragioni dei profeti di sventura, pronti a raccogliere le macerie del paese.
Certo, si tratta di una strada complicata e difficile, che comporta un delicato esercizio di equilibrismo tra maggioranza di governo e maggioranza più larga per le riforme, che sconta tutti i rischi dei patti stretti con Berlusconi, uomo politico spregiudicato che in passato si è dimostrato più volte inaffidabile. E come tutte le rotte che vanno percorse con tanti e variegati compagni di viaggio, comporterà compromessi e rinunce spesso difficili da accettare, come già si intravede nel caso della legge elettorale, e non è difficile immaginare che capiterà anche quando sulle altre riforme istituzionali si passerà dai titoli al merito.
Una strada difficile e irta di ostacoli, dunque, ma a mio avviso senza alternative, che occorreva intraprendere con quel coraggio un po' garibaldino che costituisce uno dei pregi, e un tratto distintivo, del nuovo leader del partito democratico. 




Un buon risultato politico

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Un buon risultato politico
Diciamoci la verità, alcune ragioni di perplessità e dissenso rispetto alla proposta di accordo sulle riforme conclusa da Renzi, e in particolare sulla legge elettorale, sono ragionevoli e fondate.
E' vero infatti che la legge profilata presenta alcuni aspetti critici, che sono stati messi in evidenza dagli esperti ed osservatori più attenti, tra cui la soglia per accedere al premio di maggioranza, all'evidenza molto (troppo) bassa, con conseguente distorsione possibile del risultato elettorale eccessiva, e il sistema di riparto dei seggi su base nazionale, che contraddice e vanifica gli aspetti positivi dei collegi di piccola dimensione, rendendo incerta l'attribuzione di seggi e così meno solido il rapporto tra eletto ed elettore.
Si tratta di una ipotesi che presenta anche evidenti aspetti positivi, dei quali i più rilevanti io credo siano soprattutto il fatto di garantire un vincitore, anche tramite il ballottaggio, e la previsione di soglie di sbarramento significative, che impediscono la polverizzazione delle rappresentanze parlamentari e il ricatto permanente delle piccole formazioni.

Ma sarebbe davvero sbagliato misurare e giudicare l'iniziativa di Renzi solo sulla valutazione analitica e un po' tecnicista dei pregi e difetti del nuovo sistema elettorale proposto. L'aspetto più rilevante, a mio avviso, e ciò che disvela l'enorme pregio del risultato politico ottenuto, almeno fin qui, e' il fatto di aver riportato dentro una ipotesi di collaborazione alle riforme Forza Italia, e così aver nuovamente reso possibile l'obiettivo di questa legislatura nata zoppa, ovvero le riforme istituzionali e di sistema.
Perché è inutile nasconderselo, senza Forza Italia, senza i suoi voti decisivi al Senato, sarebbe forse stato possibile approvare una nuova legge elettorale, ma di certo sarebbe stata impossibile qualunque modifica costituzionale, ed in particolare quelle da tutti condivise come la modifica del bicameralismo perfetto e un robusto aggiornamento del modello regionale.
Non sfugge a nessuno, infatti, che una riforma del senato che comporti una modifica radicale del suo ruolo, la sua trasformazione in camera delle autonomie con il venir meno del rapporto fiduciario col governo, e la conseguente cessazione dell'elezione dei suoi membri, ha ben poche chance di essere approvata con i numeri risicati della maggioranza attuale, tanto più se si pensa che il regolamento del Senato prevede il voto segreto per le leggi costituzionali.
Ed è allora proprio su questo terreno, a me pare, che si misura più correttamene il significato dell'operazione politica conclusa da Renzi, che comporta di rendere nuovamente percorribile, nei tempi compressi che la situazione del nostro paese esige, quelle riforme di sistema non più eludibili, che possono consentire di sciogliere i grumi e i nodi istituzionali che oggi rendono ingovernabile l'Italia.
Un obiettivo fondamentale per ridare dignità ad una politica svilita ed apparentemente impotente di fronte al declino del paese, per rispondere alla crisi di fiducia mai così profonda tra opinione pubblica e classe dirigente, per sgonfiare le ragioni dei profeti di sventura, pronti a raccogliere le macerie del paese.
Certo, si tratta di una strada complicata e difficile, che comporta un delicato esercizio di equilibrismo tra maggioranza di governo e maggioranza più larga per le riforme, che sconta tutti i rischi dei patti stretti con Berlusconi, uomo politico spregiudicato che in passato si è dimostrato più volte inaffidabile. E come tutte le rotte che vanno percorse con tanti e variegati compagni di viaggio, comporterà compromessi e rinunce spesso difficili da accettare, come già si intravede nel caso della legge elettorale, e non è difficile immaginare che capiterà anche quando sulle altre riforme istituzionali si passerà dai titoli al merito.
Una strada difficile e irta di ostacoli, dunque, ma a mio avviso senza alternative, che occorreva intraprendere con quel coraggio un po' garibaldino che costituisce uno dei pregi, e un tratto distintivo, del nuovo leader del partito democratico. 
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Diciamoci la verità, alcune ragioni di perplessità e dissenso rispetto alla proposta di accordo sulle riforme conclusa da Renzi, e in particolare sulla legge elettorale, sono ragionevoli e fondate.
E' vero infatti che la legge profilata presenta alcuni aspetti critici, che sono stati messi in evidenza dagli esperti ed osservatori più attenti, tra cui la soglia per accedere al premio di maggioranza, all'evidenza molto (troppo) bassa, con conseguente distorsione possibile del risultato elettorale eccessiva, e il sistema di riparto dei seggi su base nazionale, che contraddice e vanifica gli aspetti positivi dei collegi di piccola dimensione, rendendo incerta l'attribuzione di seggi e così meno solido il rapporto tra eletto ed elettore.
Si tratta di una ipotesi che presenta anche evidenti aspetti positivi, dei quali i più rilevanti io credo siano soprattutto il fatto di garantire un vincitore, anche tramite il ballottaggio, e la previsione di soglie di sbarramento significative, che impediscono la polverizzazione delle rappresentanze parlamentari e il ricatto permanente delle piccole formazioni.

Ma sarebbe davvero sbagliato misurare e giudicare l'iniziativa di Renzi solo sulla valutazione analitica e un po' tecnicista dei pregi e difetti del nuovo sistema elettorale proposto. L'aspetto più rilevante, a mio avviso, e ciò che disvela l'enorme pregio del risultato politico ottenuto, almeno fin qui, e' il fatto di aver riportato dentro una ipotesi di collaborazione alle riforme Forza Italia, e così aver nuovamente reso possibile l'obiettivo di questa legislatura nata zoppa, ovvero le riforme istituzionali e di sistema.
Perché è inutile nasconderselo, senza Forza Italia, senza i suoi voti decisivi al Senato, sarebbe forse stato possibile approvare una nuova legge elettorale, ma di certo sarebbe stata impossibile qualunque modifica costituzionale, ed in particolare quelle da tutti condivise come la modifica del bicameralismo perfetto e un robusto aggiornamento del modello regionale.
Non sfugge a nessuno, infatti, che una riforma del senato che comporti una modifica radicale del suo ruolo, la sua trasformazione in camera delle autonomie con il venir meno del rapporto fiduciario col governo, e la conseguente cessazione dell'elezione dei suoi membri, ha ben poche chance di essere approvata con i numeri risicati della maggioranza attuale, tanto più se si pensa che il regolamento del Senato prevede il voto segreto per le leggi costituzionali.
Ed è allora proprio su questo terreno, a me pare, che si misura più correttamene il significato dell'operazione politica conclusa da Renzi, che comporta di rendere nuovamente percorribile, nei tempi compressi che la situazione del nostro paese esige, quelle riforme di sistema non più eludibili, che possono consentire di sciogliere i grumi e i nodi istituzionali che oggi rendono ingovernabile l'Italia.
Un obiettivo fondamentale per ridare dignità ad una politica svilita ed apparentemente impotente di fronte al declino del paese, per rispondere alla crisi di fiducia mai così profonda tra opinione pubblica e classe dirigente, per sgonfiare le ragioni dei profeti di sventura, pronti a raccogliere le macerie del paese.
Certo, si tratta di una strada complicata e difficile, che comporta un delicato esercizio di equilibrismo tra maggioranza di governo e maggioranza più larga per le riforme, che sconta tutti i rischi dei patti stretti con Berlusconi, uomo politico spregiudicato che in passato si è dimostrato più volte inaffidabile. E come tutte le rotte che vanno percorse con tanti e variegati compagni di viaggio, comporterà compromessi e rinunce spesso difficili da accettare, come già si intravede nel caso della legge elettorale, e non è difficile immaginare che capiterà anche quando sulle altre riforme istituzionali si passerà dai titoli al merito.
Una strada difficile e irta di ostacoli, dunque, ma a mio avviso senza alternative, che occorreva intraprendere con quel coraggio un po' garibaldino che costituisce uno dei pregi, e un tratto distintivo, del nuovo leader del partito democratico. 
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Diciamoci la verità, alcune ragioni di perplessità e dissenso rispetto alla proposta di accordo sulle riforme conclusa da Renzi, e in particolare sulla legge elettorale, sono ragionevoli e fondate.
E' vero infatti che la legge profilata presenta alcuni aspetti critici, che sono stati messi in evidenza dagli esperti ed osservatori più attenti, tra cui la soglia per accedere al premio di maggioranza, all'evidenza molto (troppo) bassa, con conseguente distorsione possibile del risultato elettorale eccessiva, e il sistema di riparto dei seggi su base nazionale, che contraddice e vanifica gli aspetti positivi dei collegi di piccola dimensione, rendendo incerta l'attribuzione di seggi e così meno solido il rapporto tra eletto ed elettore.
Si tratta di una ipotesi che presenta anche evidenti aspetti positivi, dei quali i più rilevanti io credo siano soprattutto il fatto di garantire un vincitore, anche tramite il ballottaggio, e la previsione di soglie di sbarramento significative, che impediscono la polverizzazione delle rappresentanze parlamentari e il ricatto permanente delle piccole formazioni.

Ma sarebbe davvero sbagliato misurare e giudicare l'iniziativa di Renzi solo sulla valutazione analitica e un po' tecnicista dei pregi e difetti del nuovo sistema elettorale proposto. L'aspetto più rilevante, a mio avviso, e ciò che disvela l'enorme pregio del risultato politico ottenuto, almeno fin qui, e' il fatto di aver riportato dentro una ipotesi di collaborazione alle riforme Forza Italia, e così aver nuovamente reso possibile l'obiettivo di questa legislatura nata zoppa, ovvero le riforme istituzionali e di sistema.
Perché è inutile nasconderselo, senza Forza Italia, senza i suoi voti decisivi al Senato, sarebbe forse stato possibile approvare una nuova legge elettorale, ma di certo sarebbe stata impossibile qualunque modifica costituzionale, ed in particolare quelle da tutti condivise come la modifica del bicameralismo perfetto e un robusto aggiornamento del modello regionale.
Non sfugge a nessuno, infatti, che una riforma del senato che comporti una modifica radicale del suo ruolo, la sua trasformazione in camera delle autonomie con il venir meno del rapporto fiduciario col governo, e la conseguente cessazione dell'elezione dei suoi membri, ha ben poche chance di essere approvata con i numeri risicati della maggioranza attuale, tanto più se si pensa che il regolamento del Senato prevede il voto segreto per le leggi costituzionali.
Ed è allora proprio su questo terreno, a me pare, che si misura più correttamene il significato dell'operazione politica conclusa da Renzi, che comporta di rendere nuovamente percorribile, nei tempi compressi che la situazione del nostro paese esige, quelle riforme di sistema non più eludibili, che possono consentire di sciogliere i grumi e i nodi istituzionali che oggi rendono ingovernabile l'Italia.
Un obiettivo fondamentale per ridare dignità ad una politica svilita ed apparentemente impotente di fronte al declino del paese, per rispondere alla crisi di fiducia mai così profonda tra opinione pubblica e classe dirigente, per sgonfiare le ragioni dei profeti di sventura, pronti a raccogliere le macerie del paese.
Certo, si tratta di una strada complicata e difficile, che comporta un delicato esercizio di equilibrismo tra maggioranza di governo e maggioranza più larga per le riforme, che sconta tutti i rischi dei patti stretti con Berlusconi, uomo politico spregiudicato che in passato si è dimostrato più volte inaffidabile. E come tutte le rotte che vanno percorse con tanti e variegati compagni di viaggio, comporterà compromessi e rinunce spesso difficili da accettare, come già si intravede nel caso della legge elettorale, e non è difficile immaginare che capiterà anche quando sulle altre riforme istituzionali si passerà dai titoli al merito.
Una strada difficile e irta di ostacoli, dunque, ma a mio avviso senza alternative, che occorreva intraprendere con quel coraggio un po' garibaldino che costituisce uno dei pregi, e un tratto distintivo, del nuovo leader del partito democratico. 
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