Il discorso di Napolitano è stato impeccabile. Adesso spetta
soprattutto al gruppo dirigente del Pd, ivi compreso Letta, il da farsi.
Senza escludere nulla
In equilibrio fra svelenimento delle polemiche e richiamo al
fare, il messaggio di fine anno di Giorgio Napolitano è stato
semplicemente impeccabile.
Non sprecheremo qui righe sul fallito “boicottaggio” dei
brunettian-minzoliniani (gli ascolti sono andati benissimo) e nemmeno
sulle farneticazioni un po’ impappinate del comico di Cinque Stelle.
Piuttosto, è utile cercare di cogliere il senso politico vero del
discorso del presidente della repubblica. Che, ancora una volta, ha
rilanciato nel campo dei partiti il compito di fare le riforme, sia pure
«senza entrare nel merito» e senza drammatizzare più di tanto il nesso
già ben noto fra riforme e svolgimento del rinnovato mandato
presidenziale.
Se Napolitano, con garbo ma con chiarezza, ha riproposto l’urgenza di
agire, è evidente che adesso la parola è ai partiti. Anzi – diciamola
chiara – ad un partito, il Pd, che è quello che possiede le chiavi del
governo e della legislatura.
Il capo dello stato, che è un politico fine e espertissimo, coglie
che la linea del nuovo Pd renziano è cambiata, e ne tiene conto, per
esempio, evitando apologie della governabilità come valore in sé.
Sia Letta che Renzi hanno apprezzato molto il discorso del capo dello stato. Ergo, sono entrambi convinti che è venuto il momento di passare ai fatti.
Dunque il punto, in sostanza, è che il gruppo dirigente del Pd (ivi
compreso il presidente del consiglio) è chiamato a stabilire un percorso
chiaro e a disporsi al confronto con gli altri partiti della
maggioranza. Come, vedranno loro: se a Renzi non garba il
tradizionale format del vertice di maggioranza se ne trovi un altro, ma
non vorremmo che si discutesse per giorni se il tavolo debba essere
rotondo o quadrato.
La cosa positiva di queste ore invece è che il Pd sta ritrovando una
sua unità sulla impostazione del nuovo segretario: o il governo fa le
cose o è meglio guardarsi negli occhi e decidere il da farsi, senza
escludere alcuna possibilità. Lo dice Renzi, lo ripete Cuperlo, lo
pensano in tutte le aree del partito: le primarie sono veramente
servite.
Una linea pragmatica, tuttora senza un finale scritto. Ma è una linea. E l’impressione è che al Quirinale l’abbiano intesa.
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